La vittoria del No ai referendum francese e olandese non deve provocare un blocco del processo di integrazione europeo. La nostra priorità deve essere favorire tutte le iniziative che non permettano che si istalli una dinamica negativa: insomma la Costituzione europea non va considerata morta. E invece oggi questo é un rischio reale, che dobbiamo tutti insieme, sostenitori convinti del Sì (come me) e del No auto-definito pro-europeo cercare di evitare. Dico subito che come presidente di un gruppo parlamentare che si é battuto durante tutto il processo di redazione del Trattato costituzionale per un testo davvero di rottura verso un sistema più coeso e democratico, che ha cercato da subito il dialogo con i movimenti (trovando all'inizio pochissimo interesse), e come militante di un partito europeo che ha votato in febbraio a larghissima maggioranza a favore di un Sì critico, questo non é un momento facile; non condivido per nulla i toni trionfanti di chi crede che adesso la strada per un rilancio di un'Europa democratica e sociale sia spianata.
Sarà una battaglia durissima, molto più difficile che se la Costituzione fosse stata approvata in Francia e Olanda. Perché non si può proprio dire che la vittoria del No significhi di per sé la vittoria di chi vuole più Europa e perché, lo si voglia o no, se buttiamo la Costituzione l'unica cosa che resterà é il Trattato di Nizza, con tutti i suoi articoli «liberisti».
E' chiaro però che non concordo nemmeno con i messaggi ipocriti e falsamente rassicuranti del «business as usual» o del «mettiamoci tutti insieme a convincere il cittadino che si é sbagliato», lanciati dal presidente Barroso e da parte dell'establishment europeo.
I voti francesi e olandesi hanno dimostrato in modo chiaro che gli elettori non hanno più fiducia nei loro governi e non credono che l'Europa e le sue attuali politiche, con o senza la Carta costituzionale, possa rispondere ai loro problemi. Secondo me non c'è tanto un problema di allontanamento delle «élites» dal popolo: c'é un'incapacità a governare e a fornire risposte efficaci sia a livello nazionale che europeo - due facce della stessa politica.
Insomma, la Costituzione é stata colpita per esprimere la legittima preoccupazione di fronte a una situazione economica e sociale difficile e incerta; l'Europa non é apparsa in grado di dare un contributo per superare questa paura, anzi.
Basti citare l'ampliamento dell'Unione, bello e importante ma non fatto in modo da non intaccare gli standards sociali dei 15 e migliorare quelli dei nuovi membri; l'incapacità della Commissione di condurre un'azione positiva e unitaria dell'Unione; gaffes clamorose come il mantenimento della direttiva Bolkestein, di quelle sul tempo di lavoro, sulla brevettazione del software (che - sia chiaro - non c'entrano con la Carta); una pomposa «strategia di Lisbona» fatta di aria fritta e senza risorse; la prospettiva di drastici tagli al bilancio comunitario, e governi nazionali che hanno per anni dato tutte le colpe a «Bruxelles». La campagna aggressiva e ideologica dei nazionalisti da un lato e dell'estrema sinistra dall'altro, l'illusione di una facile riapertura dei giochi - il famoso ( e fumoso) piano B- hanno fatto il resto.
Ma dobbiamo guardare avanti e superare le nostre divisioni. Ci sono due elementi che vorrei sottolineare a questo riguardo.
In primo luogo, i No francese e olandese sono importanti, ma lo sono anche i Sì dei 10 paesi che hanno già ratificato. Per ora noi non siamo orientati a chiedere di fermare il processo di ratifica; tutti i popoli e paesi hanno il diritto di esprimersi sulla Carta; se tutto venisse sospeso oggi, sarebbe alle condizioni che probabilmente annuncerà Tony Blair la settimana prossima: lasciar perdere tutto e tenersi Nizza.
Perciò abbiamo chiesto che i Capi di stato e di governo nella riunione del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno discutano sulle opzioni che intendono proporre per dare una prospettiva di uscita dalla situazione creatasi dopo i No, in modo pubblico e non nel segreto dei palazzoni di Bruxelles.
Pensiamo anche che dopo il Consiglio europeo, la sessione plenaria dell'europarlamento il 22 e 23 giugno sia un'occasione per organizzare un primo, largo confronto pubblico sul futuro dell'Europa; e per richiamare la responsabilità che le istituzioni europee hanno in questa crisi, che non può essere gestita solo dai governi nazionali.
Infine, credo che sia necessario chiamare i sostenitori del No pro-europei a mantenere la promessa di una mobilitazione forte per «un'altra Europa»; confesso che non sono molto ottimista in proposito. L'Europa sta rapidamente sparendo dal dibattito in Francia, tutto concentrato su diatribe interne: perfino i comunicati di Attac non parlano più di rinegoziare la Costituzione, ma di una serie di rivendicazioni, peraltro condivisibili, riferite alla direttiva Bolkestein e alle prospettive finanziarie o al governo francese, insomma a temi che fanno parte del normale dibattito politico quotidiano. E nei Paesi Bassi nessuno ha mai davvero parlato di riaprire alcunché.
Io credo invece che questo aspetto sia particolarmente importante. Per questo i Verdi europei faranno una prima iniziativa di confronto su come proseguire la battaglia per un'Europa democratica e sociale il 27 giugno a Bruxelles con forze politiche e sociali pro-Europa del No e del Sì con cui abbiamo sempre mantenuto aperto il dialogo.
Non dobbiamo permettere che questa divisione continui perché ci indebolisce e confonde il fronte degli anti-europei con quello dei critici per una migliore Europa. Che é ancora possibile, certo: ma che rischia oggi più che mai di diventare una prospettiva lontanissima e astratta.
* presid. Verdi europarlamento