MONDO

Etiopia, fuoco sui dimostranti È un massacro

MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

L'L'ambulanza si fa spazio tra la folla assiepata intorno all'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale «Tukur Anbessa», il più grande di Addis Abeba. Il portellone posteiore si apre, lasciando intravedere una barella, un uomo disteso su di essa, e gli infermieri che tentano di tirarla giù. Non vi riescono, allora caricano l'uomo sulle spalle, e lo portano a braccia dentro l'edificio. Intorno la gente comincia a gridare, a piangere. L'uomo è morto. È un ragazzo giovane, 18, forse vent'anni, i vestiti completamente intrisi di sangue, il viso tumefatto. «Tra le diverse ferite che ha riportato, quella mortale è un colpo di mitra tra il naso e la bocca, da distanza ravvicinata», dichiara uno dei medici presenti nel pronto soccorso. Vuole rimanere anonimo, ma racconta anche degli altri corpi che sono arrivati prima, sin dalle 11 del mattino. «Tutti hanno ricevuto almeno una pallottola in pieno viso, o sulla tempia. Tutte da distanza ravvicinata. Esecuzioni», aggiunge il medico, aggirandosi tra gli undici cadaveri presenti all'una del pomeriggio. Tutti uomini, piuttosto giovani. Tutti sfigurati dai colpi. Ad un cadavere hanno dovuto richiudere la testa con delle garze, il colpo alla tempia gli aveva fatto esplodere la calotta cranica. Un altro ha un foro sulla fronte, da cui fuoriesce ancora un fiotto di sangue. «Avete visto cosa hanno fatto? Dovevate vedere come sparavano addosso alla gente inerme», dice tra le lacrime di dolore Getaun, ventidue anni, lavoratore a giornata, mentre un chirurgo gli ricuce l'orecchio sinistro completamente staccato dal capo. «Io ero seduto fuori da un caffè, con un amico. Lui ha molti proiettili in una gamba», incalza il ragazzo. Così è iniziata la giornata di ieri. Era la terza giornata di proteste diffuse in tutta la capitale. Per oggi, inizialmente, era prevista anche la dichiarazione ufficiale del vincitore delle elezioni generali e regionali etiopiche, poi rinviata dalla commissione elettorale (Nebe) all'otto luglio. Il rinvio di un mese, assieme alla dichiarazione del governo che si proclama vincitore, ha fatto esplodere la protesta studentesca tra lunedì e martedì. A cui è seguita, oggi, uno sciopero generale dei taxi e dei minibus - praticamente, eccezion fatta per gli sparuti autobus governativi, il mezzo di trasporto della maggioranza della popolazione - seguito da una totale serrata dei negozi.

In questo clima surreale la popolazione di Addis Abeba si aggirava ieri a piedi per la città, tra strade vuote e decine e decine di camion pieni di Polizia Federale in tenuta antisommossa e reparti speciali dell'esercito. Rastrellamenti si sono susseguiti sin dalle prime ore dell'alba, finché, nella zona di Merkato - così chiamata perchè sede del più grande mercato all'aperto dell'Africa -, un quartiere estremamente popolare, dove già la vita quotidiana è assai difficile, la gente si è opposta all'invasività dei militari lanciando alcune pietre. La risposta, al solito, non si è fatta attendere. Centinaia di agenti hanno circondato l'area, isolandola, ed hanno inziato a sparare sulla folla. Poi è iniziata la caccia all'uomo dei beretti rossi, i corpi speciali di fedelissimi del primo ministro, richiamati dal confine poco più di un mese fa. Caccia all'uomo ed esecuzioni spietate. Venticinque i morti sinora accertati, centinaia i feriti di arma da fuoco. «È stata una reazione folle, si vede ancora adesso. Sono ovunque, pronti a sparare addosso a qualunque cosa si muova. Ma dove vuole arrivare questo governo?», bisbigliava ieri pomeriggio Helen, una studentessa universitaria, che abita vicino al teatro degli scontri. Il governo, dopo avere represso pesantemente la protesta studentesca, ha deciso di aprire il fuoco sulla popolazione della capitale del Paese. E nel pomeriggio ha dichiarato, per mezzo di un comunicato stampa, che il motivo dell'intervento delle forze dell'ordine a Merkato è da collegarsi ad un tentativo di assalto ad una banca. Di morti, di feriti, non si è parlato. Ma il comunicato tornava ad accusare l'opposizione, individuata come mandante dei disordini.

Cud e Uedf, i due principali parititi di opposizione, hanno nel pomeriggiocondannato l'accaduto, definendolo «una violazione dei diritti umani dei cittadini, attraverso l'uso di una violenza insensata». Aggiungendo di non avere in alcun modo incitato la popolazione alla protesta, l'opposizione ha sostenuto che «la responsabilità per queste atrocità è unicamente del governo e del partito al potere. Invitiamo comunque i nostri militanti a mantenere la calma e ad evitare qualunque situazione che induca ad ulteriori violenze». In serata, anche il team di osservatori dell'Unione europea ha condannato le uccisioni e le violenze perpetrate dal governo. Gli scontri si sono ripetuti in molte altre zone della città, fino a sera, con centinaia di arresti. Mentre cresce la pressione sulla stampa, sia locale che internazionale, il tramonto su Addis Abeba vede strade deserte e artiglieria pesante spuntare ad ogni angolo.

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