MONDO

Zenawi all'assalto della rivolta studentesca

ETIOPIA
MANFREDI EMILIO,ADDIS ABEBA

Sami esce di corsa da una porta di lamiera, che poi è l'ingresso della sua casa. Una costruzione di fango e paglia. Si guarda intorno, poi inizia a correre verso la piazza di fronte, Sidist Kilo. Raggiunge un altro gruppo di persone. Cento, forse duecento. Gridano slogan. «Libertà!», «Vogliamo poter manifestare assieme agli studenti». Sami si unisce a loro, urla a sua volta, mentre il piccolo corteo sale verso la porta principale del campus universitario di Addis Abeba. Di fronte, spuntano le divise blumimetiche della polizia federale, i fedelissimi del primo ministro Meles Zenawi. Tute blu, tenuta antisommossa, khalasnikovspianati ad altezza d'uomo. Sono centinaia. Sami ha dodici anni, ma convinto avanza verso i poliziotti. «C'è mio fratello dentro l'università, ha partecipato anche lui al sit-in di oggi, poi la polizia e i militari sono arrivati, ed hanno circondato l'università». «Voglio notizie di mio figlio, perché hanno isolato tutta la zona?» urla una donna. È bassa di statura, il suo viso spunta in mezzo alle canne dei mitra, sulla testa un vecchio panno le tiene raccolti i capelli. La piccola folla avanza, ancora due, trecento metri. Poi gli spari, giusto un metro sopra le teste. E la gente si disperde. Così da lasciare libere tutte le strade intorno all'ateneo. Così da poter portare fuori, stipati in tre camion scoperti ed un autobus, gli studenti arrestati. A cui si devono aggiungere i molti arresti avvenuti in altre zone della capitale etiopica. Tutto questo accadeva l'altroieri, meno di un mese dopo le elezioni generali svoltesi il 15 maggio scorso.

Elezioni che hanno visto, di certo, una incredibile avanzata di consensi a favore dell'opposizione al Eprdf, il partito al governo da quattordici anni. Da settimane l'opposizione si proclama vincitrice, contesta brogli, intimidazioni, uccisioni, e chiede una commissione d'inchiesta che verifichi il conteggio dei voti. Di rimando Zenawi ha dichiarato di avere ancora la maggioranza in Parlamento, ha imposto il divieto totale a manifestare nella capitale, accentrando nella proprie mani tutti i poteri di ordine pubblico e sicurezza, e la settimana scorsa ha fatto arrestare per due giorni otto giornalisti considerati critici verso il governo. In una situazione in cui solo un'estrema chiarezza potrebbe evitare di dare fuoco alle polveri, il «Nebe» - commissione elettorale incaricata della comunicazione dei risultati ufficiali - ha intorbidito ulteriormente le acque rinviando di un mese la dichiarazione ufficiale del vincitore, prima prevista per l'otto giugno. Come già successo in passato, sono stati gli studenti universitari di Addis Abeba a farsi portavoce di una protesta che in città coinvolge la quasi totalità della popolazione (il Cud, principale gruppo di opposizione, ha avuto infatti in città più del 90% delle preferenze). Una protesta cui è seguita inesorabile la repressione poliziesca del governo.

Ma martedì la rabbia si è diffusa in diversi college della città. I problemi maggiori si sono riscontrati nella zona di Mexico, dentro e fuori dall'«Addis Ababa tegbaree industrial and technology college». Una scuola frequentata da ragazzi tra i diciassette e i venti anni. Qui gli studenti, al loro arrivo a scuola, si sono riuniti per protestare per gli arresti del giorno precedente in università, e sono stati subito attaccati dalla polizia federale e da corpi speciali dell'esercito, che, una volta penetrati nel college, vi sono rimasti per diverse ore, prima di permettere ai ragazzi di uscire. «Ho dovuto fare intervenire la forza pubblica poiché si stavano verificando delle condizioni anomale, in quanto gli studenti avevano deciso d'interrompere il processo educativo senza motivo, ma, a parte un po' di botte, non è successo nulla. C'è stato solo un ferito lieve», ha dichiarato al manifesto Assefar Akirso, il vicepreside. Mentre parlava, attorno a lui, spintonati dai poliziotti, uscivano ragazzini zoppicanti, i vestiti strappati, gli occhi terrorizzati. In alcuni veicoli militari, venivano portate via decine di studenti feriti. «Siamo in Africa», è stato l'unico commento dell'anonimo responsabile delle operazioni di ordine pubblico. Il Cud ha espresso ieri la sua ferma condanna per l'uso della forza da parte del governo, sottolineando che il malumore degli studenti è quello dell'intera società civile etiope, e che l'aumento della tensione nel Paese è da attribuire solo ai comportamenti del governo.

Chiedendo la liberazione delle persone arrestate ieri, ed il ripristino dei diritti umani e democratici della popolazione, il Cud ha sostenuto che il governo sarà responsabile per aver voluto governare mediante l'uso della forza bruta. Mentre si rincorrono le voci, non confermate, di alcuni morti, in città molti negozi non hanno nemmeno aperto, e ci si preparaalla seconda notte di un coprifuoco non dichiarato.

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