Rutvica Andrijasevic è una ricercatrice croata del Centre for European Policy Studies di Bruxelles, ma è soprattutto una giovane attivista antirazzista. Rutvica è a Napoli per partecipare ai laboratori formativi organizzati dai noborders napoletani e ha tenuto in particolare un seminario sull'IOM, l'agenzia internazionale che «gestisce» i flussi migratori.
Rutvica, anzitutto cos'è l'IOM è che rapporto ha con la realtà dell'immigrazione che noi conosciamo?
L'IOM è un agenzia intergovernativa fondata nel 1951 che coinvolge oltre 100 paesi. Un organismo che l'occidente ricco mette sotto contratto per gestire i flussi migratori nel modo più conveniente ai suoi interessi, ma spesso poco corrispondente ai diritti delle persone. Gestisce la gran parte dei fondi per la formazione del personale addetto al controllo delle frontiere, alla selezione delle «tipologie» di migranti e all'esecuzione dei progetti di rimpatrio. Molti dei progetti affidati al terzo settore sono indirettamente o direttamente finanziati dall'IOM. Ma questo particolare è poco conosciuto se non tra gli addetti ai lavori.
Tu hai studiato la situazione dei paesi dell'est da cui proviene un'importante componente di immigrazione femminile nella città di Napoli...
Le ragioni di questi flussi sono molteplici, e tra esse c'è sicuramente l'esigenza di coprire col lavoro femminile a bassissimo costo il lavoro di riproduzione che non viene più garantito dalle politiche di welfare.
Dopo l'esplosione di proteste xenofobe a Napoli contro le popolazioni rom, si parla di un progetto di «rimpatrio volontario assistito», che prevede la costruzione di cento case nella città rumena di Calarasi.
Quasi sicuramente è un progetto finanziato dall'IOM. Esiste una grande ipocrisia in questi processi. Si sottolinea il carattere volontario del rimpatrio, ma spesso non si offrono dignitose condizioni di permanenza. Si dimentica di sottolineare che si tratta di politiche «sistemiche» che occupano ormai una parte centrale della spesa governativa a scapito dei servizi di accoglienza. La Germania ad esempio alla metà degli anni `90 ha concordato con i paesi dei Balcani il rimpatrio di oltre centomila profughi. Rimpatrio mediato soprattutto dall'IOM e che in genere prevede un meccanismo premiale se il migrante è ancora «regolare», fino a dispositivi di autentica deportazione per gli «illegali». Queste politiche hanno visto nelle comunità rom un soggetto privilegiato di sperimentazione.