LETTERE

E' tempo di dire basta, non deleghiamo più

SINISTRA
PARDI FRANCESCO «PANCHO»,ITALIA

Abbiamo appena stravinto le elezioni regionali e, invece di prendere la rincorsa per vincere le politiche del 2006 e cancellare subito la deformazione costituzionale voluta dal centrodestra, la nostra classe dirigente non ha pensato niente di meglio che dividersi. La sua capacità autolesionista non conosce limiti. Ha creduto di aver vinto per meriti propri e non si è accorta che il merito essenziale era di un elettorato che aveva saputo uscire dallo sconforto della sconfitta e rinnovare un atto di fiducia nella possibilità di vittoria. Non ha capito che in questa riscossa unitaria dell'elettorato i meriti di movimenti, associazioni, sindacati e protagonismo civile erano di gran lunga superiori ai suoi. Non si è accorta che ha vinto nonostante i propri demeriti. Ha imbastito, con debole filo, la federazione dei riformisti moderati e non ha capito che il successo, peraltro discutibile e limitato, non dipendeva dalla sua natura intima (che oggi si svela mera apparenza) ma dalla sua allusione a una possibile saldezza dell'intera coalizione. Insomma, la federazione è stata appoggiata da molti solo perché percepita come una garanzia dell'Unione. Ma non ha saputo tenere fede a questo ruolo e oggi appare finzione crudelmente svelata. La leadership di Prodi, il solo che abbia già battuto Berlusconi, è in pericolo. Nella volontà di indebolirlo non si vede tanto la critica di un primato quanto la consapevole distruzione dell'unica possibilità di guida politica unitaria. E dietro la sua fine si intravvede l'ascesa di un baronato frammentario e litigioso, capace semmai di imporre mutamenti di leadership solo in direzione di altre debolezze facilmente condizionabili. Anche la difesa di Prodi tramite i raduni ulivisti è ormai un espediente senza speranza. La stessa lista di Prodi, se si mostrasse solo come manipolo difensivo dei fedeli, mancherebbe l'obbiettivo di realizzare un'aggregazione dinamica e propositiva, capace di ricondurre alla ragione gli spezzoni dispersi della coalizione. Ora è necessario ragionare sulla necessità di dare un secondo segnale alla classe dirigente: più intenso, più urgente, più mirato di quello di piazza Navona e piazza San Giovanni. Non hanno il diritto di distruggere tutto ciò che anche noi abbiamo costruito, non possiamo lasciare nelle loro mani un lavoro, appena cominciato, che non sanno e non vogliono portare a compimento. Non possiamo permettere loro di avviarci tutti a una sconfitta che sarà micidiale per la democrazia italiana. Quante volte hanno ripetuto che le critiche dei movimenti, pur giustificate, portavano la divisione nel centrosinistra! Con la loro insufficienza degli ultimi due anni i movimenti li hanno lasciati liberi di decidere, e ora che nessuno li disturba riescono a dividersi da soli nel modo più astioso. Dimostrano così la falsità del luogo comune che li vuole uniti solo contro Berlusconi: nemmeno il rischio terribile di un radicamento dell'anomalia italiana impedisce loro di dividersi. Diciamolo: non ce ne importa niente della federazione dei riformisti moderati, ma se la sua crisi apre la disgregazione dell'Unione (che forse non ha nemmeno cominciato a esistere) questo ci riguarda tutti. Come fronteggiare l'emergenza? Basterà raccogliere le energie in una lista a sostegno di un Prodi già dimezzato nelle intenzioni dei suoi infidi alleati? Dovremo farlo, ma soprattutto dobbiamo creare una grande spinta dal basso per portare dentro l'Unione il peso di una volontà collettiva. Oggi questa forza è diffusa in una generosa attività partecipativa distesa in reti orizzontali ma è incapace di fare corpo; non riesce a esercitare un controllo sulla classe dirigente, non riesce a imporle il vincolo delle proprie intenzioni: basti pensare all'abisso tra il rifiuto popolare della guerra preventiva e il possibilismo dell'arte politica.

Sappiamo bene che cosa vogliamo: la cancellazione dell'anomalia italiana, l'attuazione della Costituzione, la salvaguardia dei beni comuni, la ricostruzione dello stato sociale, un fisco che faccia pagare le tasse ai ricchi, una scuola pubblica che istruisca e qualifichi, una sanità pubblica che curi e guarisca, la riduzione del lavoro flessibile e precario, il rilancio della ricerca e della salvaguardia ambientale, un impulso all'economia che non sia basato solo sui bassi salari, il ritiro dei soldati dall'Iraq, un disegno di politica estera per una nuova Europa e per un nuovo primato dell'Onu.

Ma nemmeno una briciola di tutto ciò avremo se non sapremo influire sulla formazione della classe dirigente. La crisi attuale della coalizione è un'occasione per aprire una nuova possibilità. I partiti del centrosinistra hanno dimostrato tutta la loro insufficienza nell'esprimere il bisogno di riscossa del loro elettorato e nel perseguire l'interesse collettivo. Ma non ci si può solo lamentare.

Questo è il momento in cui la libera cittadinanza deve assumersi una responsabilità. Appoggiare e rafforzare Prodi, ma con uno scatto di protagonismo più convinto. Non una delega ma la realizzazione di un sforzo corale dal basso: una lista che nasca dal vivo della società, unisca le tante energie diffuse, convinca figure di grande rilievo ad accettare il compito esemplare e temporaneo di portavoce della nostra opinione pubblica. Con un obbiettivo minimo: raccogliere quella quota di voti decisiva per vincere, che sfugge ai partiti attuali e che rischia, per il loro comportamento, di rifluire in un astensionismo dannoso per la democrazia. Abbiamo davanti un anno da usare bene: con prudenza e coraggio potremmo persino farcela



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