«La conobbi nel 1925 e me ne innamorai subito, ma lei era già fidanzata. Io, del resto, avevo quattro anni». E' con queste parole che Sergio Barenghi ha iniziato il suo ricordo della mia mamma parlando, qualche mese fa, al suo funerale. Per dire che la nostra era un'amicizia collaudata da una vita, le cui tappe rammento una per una. La prima morte di cui io ricordi, e dunque quella che più mi è rimasta impressa perché ha acceso nella mia infanzia l'interrogativo più inquietante della vita, fu peraltro proprio quella del padre di Sergio e nonno di Riccardo. Fu una sera in cui mia madre, dopo una telefonata, mi disse molto scossa: «E' morto improvvisamente Riccardo (portava lo stesso nome del nostro compagno), l'avvocato Barenghi». Una sparizione dalla mia quotidianità che mi risultava inspiegabile e a lungo rimuginai per capire cosa fosse accaduto. Fu così che il giovane Sergio a far pratica di avvocato venne nello studio di mio padre. Era appena laureato ed era il dopoguerra, e dalle chiacchiere che talvolta si degnava di concedere a me che ero una ragazzina ho appreso i primi rudimenti della politica, e cos'era la democrazia.
Quando, qualche anno fa, Sergio ha compiuto 80 anni gli ho scritto per dirgli com'era singolare e però straordinario, non tanto che la nostra amicizia fosse ben più vecchia di mezzo secolo - questo può accadere - ma che dopo tanto tempo e tante cose successe ci ritrovassimo così vicini: vicini, non solo politicamente ma persino per intrecci diversi, all'ormai già più che adulto manifesto, del cui direttore lui era nientemeno che il padre.