Una lunga fila di Mercedes bianche cerca di farsi strada in mezzo ad una folla eterogenea e festante. Sulle carrozzerie delle auto si riconoscono gli addobbi dei matrimoni. I clacson suonano a distesa, la gente per strada risponde gridando. Ad un tratto, dall'automobile di testa, la coppia di sposi scende tra la gente. Hailu, fresco di nozze, è raggiante. Con le dita fa il segno di vittoria. La gente abbraccia lui e la moglie, risponde con lo stesso gesto, urlando «Kinnjit, Kinnjit!». Kinnjit, in amarico, significa unione. «Oggi è un giorno meraviglioso», si sgola Hailu, che di mestiere fa il commerciante, nel suo abito nuziale nero e argento. «È il mio matrimonio, sono felice. Inoltre, ad Addis Abeba come in tutte le città dell'Etiopia, c'è stata una grande manifestazione di popolo. Il primo ministro Meles Zenawi deve capire che questa moltitudine in piazza voterà contro di lui, per l'alleanza di opposizione, il Kinnjit ». Ad Hailu fa eco Fasil, un ragazzo vestito ben più poveramente, gli abiti zuppi d'acqua. «Avete visto quanta gente si è raccolta in Meskal Square? Se in questo paese la democrazia non è solo una barzelletta, allora domenica prossima, quando si andrà a votare, ci sarà un cambio di governo in Etiopia». In effetti, domenica scorsa, 9 maggio, esattamente una settimana dopo la Pasqua ortodossa, Addis Abeba era piena di gente. Molti nelle auto sfilavano per festeggiare dei matrimoni - finita la Pasqua, secondo i riti religiosi locali ci si può finalmente sposare. Un paio di milioni di persone, invece, si è riversato nelle strade per raggiungere la piazza principale e aderire alla manifestazione organizzata dal Cud, la Coalizione per l'unità e la democrazia, principale gruppo di opposizione all'Epdrf, il partito al potere del premier e uomo forte Meles Zenawi. Un'iniziativa politica mai vista prima nel paese, i cui numeri hanno seriamente impensierito l'establishment governativo - il giorno prima, nello stesso luogo, l'adunata voluta dal governo aveva raccolto poco più di duecentomila persone - e i responsabili della sicurezza della capitale, che hanno deciso di trasferire immediatamente il premier e la sua famiglia in una località considerata sicura, Debre Zeit, in attesa che le acque si calmassero.
In realtà nessun incidente ha scosso la capitale durante l'iniziativa di Kinnjit. Ad intorbidire le acque, semmai, ci sarebbero state le ripetute violazioni compiute da polizia, esercito e servizi segreti nei confronti dei sostenitori dell'opposizione. Infatti, già da settimane, il Cud aveva denunciato pressioni governative sugli elettori delle campagne, nonché l'uccisione di diversi suoi militanti, il ferimento di molti altri, e arresti indiscriminati in ogni zona del paese, rurale ed urbana. Ovviamente, il governo, nella persona del ministro dell'informazione, Bereket Simon, ha respinto ogni accusa. Ma, anziché calmare le acque, ha rinfocolato le tensioni accusando il Kinnjit di volere una conclusione violenta della tornata elettorale, addirittura arrivando a presagire un possibile attacco a sfondo etnico - la maggioranza del personale governativo è di etnia tigrina, come Zenawi -, additando lo spettro di ciò che accadde in Ruanda ai tempi del genocidio. «Così il governo dimostra a noi cittadini che ci potremo recare alle urne certi che la regolarità del processo democratico sarà rispettata? Entrando nei nostri negozi e costringendoci a chiuderli per partecipare alla fiaccolata da loro stessi organizzata?». Salomon, ventisette anni, una laurea negli Stati uniti e un negozio di computer qui in città, non si da pace, dimenandosi nei suoi abiti hip-hop. «Ora non ho più dubbi: io voterò Kinnjit, ma queste non saranno elezioni democratiche».
In questo clima decisamente teso, circa 25 milioni di etiopici (su un totale di 80 milioni di abitanti) oggi si recheranno alle urne per la terza consultazione pluripartitica dopo la caduta del Derg, il regime di Menghistu Haile Mariam. Elezioni che a molti osservatori, così come al partito al potere, parevano scontate, ma il cui esito ad oggi parrebbe decisamente a favore dell'alleanza di opposizione. In un paese che ormai da giorni vede la polizia federale - i fedelissimi di Zenawi - controllare ogni angolo di strada mitra alla mano, due piccoli gruppi di osservatori internazionali cercano di favorire la regolarità delle votazioni. Mentre gli osservatori inviati dall'Unione europea si sono detti preoccupati per il clima preelettorale, un sorridente Jimmy Carter si è detto certo, durante la conferenza stampa che ha tenuto venerdì, al suo arrivo in città, della regolarità del processo elettorale, «vista la democraticità del governo etiopico, comparato ad altri paesi del corno d'Africa, come Eritrea e Somalia». Un'analisi che dà grandi garanzie a tutti gli etiopici.