VISIONI

Antony & The Johnsons, gli angeli del nuovo soul

MUSICA
CORZANI VALERIO,ROMA

C'è un bambino che «quando crescerà sarà una bella ragazza» e per ora sta attraversando il mondo con una canzone in cui confessa spudoratamente i suoi desideri. Che quel bambino non sia più un bambino all'anagrafe non è poi così importante. L'importante, per noi, è che i suoi desideri siano diventati canzoni (For Today I'm a Boy) e che il percorso verso queste consapevolezze sia costellato di concerti magnifici, come quello di martedì sera all'Auditorium di Roma. Quel bambino è certamente già maggiorenne e si chiama Antony. Gira con un gruppo che ha denominato The Johnsons e mette in scena ogni sera uno spettacolo lacerante e paradisiaco. Il perno dello show non è però questo corpulento ragazzo alto quasi due metri che pure ha un look ameno e una presenza scenica da performer navigato (uno di quelli che fanno finta di essere sbadati e timidi per sedurre gli astanti, e ci riescono dopo soli due brani di concerto). Il perno dello spettacolo di Antony, e forse anche la chiave per capire i dilemmi della sua vita, sta tutto nella sua voce. Una voce così camaleontica e instabile, che solo un controllatissimo calvario interiore può bilanciare nell'emissione. Voce d'angelo si direbbe, da soprano che cede spesso al falsetto, quasi sempre calibrata nelle zone alte del range timbrico, ma ogni tanto dirottata verso vie più «gravi» e trasformata in tenore, magari solo il tempo di una strofa, o di una sottolineatura del testo. Voce che in questo tour viene servita davvero bene, attraverso il contorno di arrangiamenti mai debordanti e di una scaletta che alterna i classici per la platea e gli sfizi per i musicisti che stanno sul palco.

Con il gruppo sintonizzati in pieno sulla smerigliata tavolozza sonora del leader, che li sollecita a turno e solo raramente tutti insieme, evitando così quei pieni troppo pieni, quelle virate barocche e iperglam che ogni tanto «guastano» il palinsesto dei suoi dischi. Il rischio è, infatti, quello di trasformare una poetica così spudoratamente sentimentale in un pericolosissimo «effetto Elton John». Una veste concertistica così rigorosa e scarna sembra aver scongiurato per sempre questa opzione. Antony sa bene infatti che questo è il tour della vera consacrazione, protesi live di un album come I'm Bird now che è solo il suo secondo, ma arriva dopo un peana di lodi sperticate regalate al talento di questo londinese-newyorkese da gente come Lou Reed, Laurie Anderson, Boy George, David Tibet. Molti dei suoi patron musicali, dichiarati e non, Antony li ringrazia direttamente sul palco infiocchettando il palinsesto con le cover dei Current 93 di David Tibet, Lou Reed, Leonard Cohen (una splendida versione di The Guests), Moondog (quella All Is Loneliness che aveva avuto nel '67 anche l'imprinting di Janis Joplin). Altri li lascia evocare dagli ascolti, dal rifrangere delle atmosfere. Così, non sembra aver sbagliato di molto, chi ha visto in questo vocalist e pianista capace di codificare feeling diafani e malsani, il frutto artistico di una serie di flirt mai consumati: quelli tra Nina Simone e Jimmy Scott, tra Otis Redding e Marianne Faithfull, tra Holly Johnson e Jeff Buckley...

Durante il concerto, nella Sala Petrassi, gioca a fare il bambino timido, l'icona amiccante del pubblico gay adulto, la rockstar. Rimanda alla coppia Lynch-Badalamenti e a Edgar Allan Poe (in The Lake); coinvolge la gente in un gospel a cappella (Dust & Water), accenna il refrain di I Wanna Dance with Somebody di Whitney Houston, cicca l'acuto del suo hit Hope there's Someone e trasforma la sua unica debàcle vocale in una gag col pubblico...

Ma questi giochetti non impediscono ad Antony di chiarire una cosa una volta per tutte. Sotto l'incedere dolente e operistico dei suoi vocalizzi ci si immagina una scritta che scorre e lampeggia, baluginando di tanto in tanto qualche lettera: «Questo non è un concerto rock, qui si ascolta soltanto soul music». Nella sua versione bianca, ma non denaturata. La tournée si sposta oggi a Sarzana, domani a Faenza, l'8 a Catania e il 9 a Napoli.

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