REPORTAGE

Lo strano assalto alla Baia de Tela

TERRA TERRA
MARTINELLI LUCA,HONDURAS

«L'élite dominante sta offrendo il nostro paese come una pignatta da sfruttare», denuncia la Organización Fraternal Negra Hondureña (Ofraneh), che rappresenta le comunità native della costa caribica dell'Honduras. Se la prende con un certo decreto governativo (il 90-90), che permette l'acquisto di beni urbani in deroga all'articolo della Costituzione che impedisce la vendita di beni entro 40 km dalle coste. Decreto che sa di anticostituzionale: ma un ricorso in questo senso è stato respinto dalla Corte suprema. L'organizzazione dei nativi honduregni se la prende anche con il ministro del turismo Thierry Pierrefeu, secondo cui quel decreto è strumento indispensabile ad attirare investimenti stranieri e garantire lo «sviluppo economico» del paese. Falso, ribatte Ofraneh: «Il signor ministro pare ignorare le 'leggi' della maquila, per le quali gli industriali si limitano ad affittare spazi nelle zone industriali, senza realizzare alcun investimento importante, così da poter abbandonare il paese repentinamente come è successo in diverse occasioni». In questione per la verità non sono investimenti industriali: il decreto 90-90 rende infatti possibile e legale la privatizzazione delle bellissime spiagge dell'Honduras, dove vive il popolo indigeno dei Garifunas, discendenti di popolazioni africane le cui comunità sono dislocate lungo le coste caribiche di Honduras, Guatemala e Belize. Ed è questa la posta in gioco: con quel decreto che deroga alla protezione della fascia costiera, il governo si prepara ad attrarre grandi progetti turistici, che - sostiene il ministro - sono volti a garantire uno «sviluppo sostenibile» nell'area.

E tra gli «investitori» pronti a saltare sull'occasione c'è la Cooperazione italiana. Già. Nel maggio del 2004, il presidente dell'Honduras Ricardo Maduro ha incontrato a Roma il capo del governo Silvio Berlusconi e i dirigenti della segreteria ministeriale della Cooperazione italiana. Oggetto degli incontri, secondo quanto dichiarato successivamente dalla presidenza honduregna, «sarà la partecipazione del capitale italiano al progetto Bahia di Tela che prenderà inizio il prossimo anno e sarà uno dei maggiori fattori di sviluppo turistico sulla costa atlantica».

Il grande progetto Bahia de Tela, il cui costo stimato va dai 140 ai 200 milioni di dollari, si iscrive nelle politiche che hanno già consegnato il 30% del territorio honduregno alle multinazionali minerarie, hanno portato alla privatizzazione dell'acqua (cui partecipa anche il comune di Roma, attraverso la propria controllata Acea) e la pianificazione di ulteriori privatizzazioni di terre e boschi con progetti finanziati dalla Banca Interamericana di Sviluppo (nell'ambito del Piano Puebla Panamá), dalla Banca mondiale (nell'ambito del progetto del Corridoio biologico mesoamericano), dal Banco Centroamericano di Integrazione Economica, ecc.

Il progetto Bahia di Tela prevede, su una superficie di più di 312 ettari che include la zona del parco nazionale Punta Sal, riserva naturale protetta, la costruzione di infrastrutture come sette complessi alberghieri di lusso, 2000 appartamenti, 6 multi-residences per un totale di 168 ville, centri commerciali, parchi tematici e di intrattenimento. L'impegno del governo italiano è quantificabile per ora in 500mila euro, che serviranno per finanziare l'elaborazione di uno studio di fattibilità in cui si identificheranno gli interventi (opere di infrastrutture, acqua e bonifica, di regolamento territoriale, restauro di immagine urbana, per un ammontare approssimato di 40 milioni di euro).

«Il fittizio concetto di sviluppo imposto dai megaprogetti e i trattati di libero commercio non sono pensati per garantire una distribuzione equa della ricchezza. Al contrario, nonostante la crescita dell'economia nell'ultimo anno, non ci sono segnali di un reale sradicamento della povertà, che cresce giorno dopo giorno, specie tra la popolazione rurale», conclude Ofraneh la propria denuncia.



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