MONDO

Etiopia, il ritorno della stele

AXUM
MANFREDI EMILIO ERNESTO,ADDIS ABEBA

«Sono contento, la stele di Axum non è solo un monumento che appartiene alla mia città, è proprietà del nostro paese, un pezzo della nostra storia, si tratta di un grande passo avanti per noi tutti», dichiara Salomon, rispondendo al telefono dell'albergo in cui lavora. Ad Axum, già da giorni, una serie di striscioni inneggiavano agli sforzi prodotti dal governo etiopico e dal Comitato nazionale etiope per il ritorno dell'obelisco nel suo luogo di origine. Per le strade, cortei di donne vestite degli abiti e degli ornamenti tradizionali di questa zona, il Tigray etiopico, bandiere verde giallo rosso a sventolare nella canicola, attiravano l'attenzione cantando e suonando. Si narrava di corriere provenienti dalle zone circostanti, piene di gente pronta ad accogliere l'arrivo della stele. Festeggiamenti preparati con attenzione, ma apparentemente di nuovo inutili. Ai bordi delle vie, poggiati ai muri, seduti davanti agli esercizi commerciali a cercare un po' d'ombra, gli abitanti della cittadina parevano ormai rassegnati all'ennesimo rinvio. Ed invece, incredibile a dirsi, all'alba di ieri, all'orizzonte del piccolo aeroporto di Axum, è comparso l'Antonov 124-100 che sembrava non dovesse arrivare mai. Poco dopo, sono iniziate le operazioni di scarico della prima delle tre parti in cui è stata sezionata, a Roma, la stele trafugata 68 anni fa dalle truppe fasciste e rieretta nella capitale italiana per celebrare il quindicesimo anniversario della marcia su Roma. Il trasporto del monumento, ha dichiarato al manifesto questa mattina una fonte dell'ambasciata italiana, dovrebbe essere completato agli inizi della prossima settimana, condizioni climatiche permettendo.

Ad attendere l'atterraggio del cargo, diverse autorità civili e religiose etiopiche, assieme all'ambasciatore italiano Guido La Tella, sicuramente sollevato dalla conclusione di questa imbarazzante vicenda. A rappresentare il governo etiopico, tra gli altri, era presente il ministro per la cultura, Ato Teshome Toga. Egli, dopo avere annunciato già per mercoledì scorso l'arrivo del monumento, ha potuto finalmente sfogare la propria gioia. «Sono davvero felice, questo è un momento storico per noi, così a lungo atteso», ha dichiarato, mentre nella cittadina etiopica al confine con l'Eritrea i cortei celebrativi perdevano parte del loro risvolto farsesco.

Un buon risultato per il governo di Meles Zenawi, in vista delle elezioni politiche del 15 maggio prossimo. Il primo ministro etiopico non aveva di certo gradito l'ennesimo ritardo nell'arrivo della stele dall'Italia, avendo puntato molto sull'evento come pubblicità elettorale a proprio favore prima delle consultazioni. In realtà, in Etiopia, soprattutto fuori da Axum, dove la propaganda governativa aveva previsto che l'obelisco fosse accolto con tutti gli onori, permane la sensazione che tutto questo non costituisca certo un problema fondamentale per la popolazione. «Non so cosa sia l'obelisco, non so esattamente nemmeno dove sia Axum, non capisco. Mi sono alzata all'alba e sono scesa qui ad Alamata a piedi, due ore di cammino, per vendere delle uova e con i soldi comprare altre cose da mangiare», raccontava qualche giorno fa Roman, 18 anni, seduta a terra nella polvere, sotto il sole rovente del primo pomeriggio. Alamata è un piccolo centro abitato, nella regione del Wollo, circondato da campagne, in cui si spera solamente che la stagione delle piogge imminente renda fertili a sufficienza le terre, così da poter garantire cibo per le persone e gli animali. Nel mercato, intorno a Roman, migliaia di altre persone si arrabattano in piccoli commerci per poi ricomprare altri generi utili alla quotidiana sopravvivenza. Molto spesso la povertà fa sì che si rivendano farine, granaglie e olio provenienti dagli aiuti umanitari.

In questa Etiopia dimenticata, ma dove vive gran parte della popolazione locale, è difficile potersi interessare alla doverosa restituzione dei patrimoni storico-culturali sottratti dall'esperienza coloniale italiana. La stele è arrivata, ma pochissimi sembrano essersene accorti. Nessuna manifestazione è stata organizzata per l'occasione.

Anche per le strade di Addis Abeba, la vita prosegue normale. Alla sede dell'Istituto di studi culturali etiopici si fa poco cenno a ciò che è avvenuto ieri. «Non sono state organizzate iniziative particolari poiché attendiamo il rientro di tutte le parti del monumento. Quando sarà completato, organizzeremo una conferenza», afferma la direttrice dell'istituto, Elsabhet Woldegeorges. L'unico che sembra davvero informato sugli avvenimenti, e sovraeccitato dalla notizia, è Khruma. «È realmente importante ciò che è successo oggi, finalmente ha fine una delle vicende più vergognose dell'occupazione italiana in Etiopia». Sprizza gioia, Khruma. Tuta da ginnastica, turbante bianco in testa, a raccogliere i dreadlocks, Khruma abita ad Addis da alcuni mesi. Ma è nato in Ghana, cresciuto in Canada, e tornato nella terra promessa dei Rastafari. Escluso lui, nessuno sembra voler perdere molto tempo a parlare di ciò che è successo.

Di certo i ripetuti rinvii hanno messo la sordina all'uso propagandistico che il governo voleva fare di questo avvenimento, anche se, la settimana prossima, a restituzione completata, il primo ministro Meles Zenawi troverà il modo di autocelebrarsi, a pochi giorni dalla tornata elettorale.

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