MONDO

Aspettando la stele. E la prossima guerra

MANFREDI EMILIO ERNESTO,ADIGRAT (Etiopia)

In mezzo al nulla, sulla via che da Makalé porta ad Axum, all'ombra di due case, semidiroccate e piene di sterco, un maestro, seduto sull'unica sedia in mezzo alle pietre, fa lezione ai figli dei contadini della zona. Una sessantina di alunni di diverse età, impolverati. Sui muri delle due costruzioni, di tipica architettura italiana, si legge: «Casa operai» e «O.N. Dopolavoro Sabic Coromodò», sovrastate dallo stemma sabaudo. Due case costruite per ospitare gli italiani che lavoravano alla strada che ancora oggi collega Asmara, la capitale eritrea, con l'interno dell'altopiano etiopico, in direzione Addis Abeba. «Non sapevo che l'obelisco di Axum sarebbe dovuto ritornare domani, ma nemmeno me ne importa. Qui i bambini non hanno nemmeno penne e quaderni e la terra diventa arida ogni giorno di più. Se non viene a piovere diventerà un problema», risponde secco il maestro, lo sguardo puntato fisso negli occhi, a testimoniare l'orgoglio tipico di questa gente. L'ufficializzazione del rientro, previsto per le 4 di questa mattina, della prima sezione dell'obelisco di Axum, trafugato dal regime fascista nel 1937 ed in seguito rieretto a Roma, era giunta venerdì scorso al termine di una affollata conferenza stampa, per voce del ministro per la cultura etiopico. L'imminenza del rientro si rincorreva ormai da mesi, e che dovesse avvenire proprio tra la fine di marzo e gli inizi di aprile era stato confermato, nel corso di un colloquio avvenuto a metà marzo, dal primo segretario dell'ambasciata italiana ad Addis Abeba, dottor Marco Cerbo. «Le problematiche tecniche legate al trasporto dell'obelisco, nuovamente sezionato a Roma, sino all'atterraggio all'aereoporto di Axum sono di competenza italiana e paiono finalmente risolte», aveva aggiunto Cerbo in quell'occasione.

Ieri invece questa sfinente vicenda, si sperava l'ultimo atto del nostrano colonialismo straccione, si è riaccesa con il comunicato ufficiale del governo etiopico, in cui si dichiara che, per ragioni tecniche non meglio identificate, l'arrivo della stele dall'Italia è nuovamente rimandato. A venerdì? A data da destinarsi? Dopo ripetute fatiche, una giornalista della Bbc è riuscita a chiedere ragioni all'ambasciata d'Italia. «Dopo un evidente imbarazzo hanno confermato la versione ufficiale di ieri del ministero per la cultura italiano. L'obelisco non arriva perchè manca un radar adeguato a fare atterrare l'Antonov adibito al trasporto. In ambasciata sperano che il primo segmento della stele possa arrivare venerdì». Nulla di più.

Certo che, percorrendo in senso inverso all'invasione italiana questa strada, oggi in fase di riammodernamento, si incontrano luoghi e storie del tempo dell'impero di cui troppo spesso si è preferito tacere. La strada che porta da Addis Abeba ad Axum è costellata di ponti, case, persino di tunnel costruiti dagli italiani. Su uno di questi campeggia la scritta«Mussolini», sia pure parzialmente cancellata. In un villaggio, vicino ad Adigrat, ci accoglie un anziano, la pelle chiara, sotto la barba, a dimostrare le sue origini miste. «Italiani, buongiorno», dice sorridendo, mentre siede con altri anziani all'ombra di una casa dipinta a colori vivaci, rosso e giallo. Al centro della piazza in cui si ritrovano gli uomini a discutere, campeggia un piccolo obelisco, una decina di metri massimo, costruzione recente di cemento, la bandiera etiopica e quella del Tigrè verniciate sopra. Che gli etiopici si debbano accontentare di questo? «Guardatevi attorno, vai verso il confine con l'Eritrea, osserva come sono magre le vacche. Se arriva l'obelisco, bene, ma i problemi oggi sono altri», dice l'uomo in tigrigna, la lingua locale. Gli altri anziani annuiscono.

Proseguendo verso la cittadina di Adigrat, a qualche decina di chilometri dall'Eritrea, si capisce sempre meglio il senso delle sue parole. Il traffico civile verso il confine è praticamente inesistente. Sulla strada, oltre ai contadini della zona, camion militari trasportano carri armati. Ai lati della carreggiata, in alcune spianate tra le rocce, campi dell'esercito con molti uomini in addestramento. Poco più avanti, una colonna di un centinaio di soldati dell'esercito etiope taglia per i campi, in direzione della linea di confine. Accanto a loro, mandrie smunte brucano i pochi arbusti presenti. Nulla di realmente evidente, di certo la sensazione che qui si speri in una stagione delle pioggie abbondante, e che al contempo la possibilità di una nuova guerra con l'Eritrea si faccia ogni giorno un po' più realistica.

Un conflitto che molti vedono come una catastrofe, ma che ad entrambi i governi, ad Asmara e ad Addis, potrebbe fare comodo per ragioni soprattutto di ordine interno. In Etiopia infatti, mentre non si placano i conflitti etnici in direzione di Gambella e nel sud, vi saranno a metà maggio elezioni politiche il cui esito, se tecnicamente scontato a favore del primo ministro in carica Meles Zenawi, potrebbe avere ripercussioni di carattere sociali e politiche, sopibili con una chiamata all'unità nazionale contro un nemico esterno. In Eritrea invece, il regime di Isaias Afworki, incapace di garantire non solo le minime libertà politiche, ma anche le scorte alimentari per i prossimi mesi alla popolazione, da sempre si mantiene in piedi grazie ad uno stato di guerra apparente, sempre sull'orlo di diventare effettiva.

Il sole tramonta nel centro di Adigrat, esasperando il contrasto tra le straordinarie montagne dell'altopiano etiopico e le autobotti del governo che transitano piene di gasolio per le basi militari. Alla gente che passeggia per il corso principale della città, del rientro dell'obelisco sembra importare ben poco. Preferiscono parlare d'altro, sperano che la loro vita non venga di nuovo turbata da un conflitto.Questa la realtà quotidiana. Che certo non giustifica l'ennesimo ritardo nella restituzione alla città di Axum del proprio monumento, della propria storia. Una vergogna, come tutta l'esperienza imperiale, tutta italiana.

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