PRIMA

La Carta stravolta

FERRAJOLI LUIGI,ITALIA

E' cominciata silenziosamente in senato la discussione sul progetto governativo di revisione costituzionale già approvato dalla camera in una prima lettura nello scorso ottobre. Si tratta chiaramente, per le sue dimensioni e per lo stravolgimento progettato, di una nuova costituzione, promossa da una coalizione di forze - Alleanza nazionale, Forza Italia e Lega nord - nessuna delle quali ha partecipato alla formazione della Costituzione attuale. Il senso politico dell'operazione è chiaro. Ciò che si vuole realizzare è una completa rottura della continuità costituzionale al fine di rifondare la Repubblica sulle forze che alla Costituzione del '48 e alla sua origine antifascista furono estranee od ostili. Proprio perché non si riconosce nella Costituzione vigente, questa nuova destra, oggi maggioritaria in parlamento ma non nel paese, pretende di archiviarla, di varare una sua costituzione a sua immagine e somiglianza, di rompere il vecchio patto di convivenza che non a caso Berlusconi ha squalificato come «sovietico». Di qui una prima domanda: è legittima, sul piano delle forme e del metodo, una simile riforma, non consistente in una semplice «revisione» costituzionale ma nella confezione di una costituzione del tutto diversa, che cambia al tempo stesso la forma di stato, da nazionale a federale, e la forma di governo da parlamentare a para-presidenziale e tendenzialmente monocratica? La risposta è chiaramente negativa. La nostra Costituzione, come del resto la quasi totalità delle costituzioni democratiche, non ammette il varo di una nuova costituzione, neppure a opera di un'ipotetica assemblea costituente eletta con il metodo proporzionale che pur decidesse a larghissima maggioranza. Il solo potere ammesso dal suo articolo 138 è un potere di revisione, che non è un potere costituente ma un potere costituito, il cui esercizio può consistere solo in specifici emendamenti; laddove, se diretto a dar vita a una nuova costituzione, esso si converte in un potere costituente e sovrano, anticostituzionale ed eversivo, in contrasto, oltre che con l'articolo 138, con il primo articolo della Costituzione secondo cui «la sovranità appartiene al popolo» che da nessuno può esserne espropriato.

Ciò cui invece stiamo assistendo è l'approvazione a colpi di maggioranza di un testo che altera l'intero assetto istituzionale, modificando competenze e regole di formazione e funzionamento di tutti gli organi costituzionali: del parlamento e del governo, del presidente della Repubblica e del presidente del consiglio, dello stato e delle regioni. Il precedente della sconsiderata riforma del titolo V varata dall'Ulivo è invocato a sproposito: benché gravemente colpevole, quella riforma fu pur sempre una revisione settoriale della Costituzione che per di più riprodusse, nella sostanza, una modifica che era stata approvata qualche anno prima dai due schieramenti nella bicamerale. L'attuale disegno riscrive invece ben 43 articoli della seconda parte, con gli inevitabili riflessi sulla prima. E' la vecchia idea che Gianfranco Miglio espresse brutalmente dieci anni fa, dopo la prima vittoria elettorale delle destre: la costituzione non è un accordo tra tutti sulle regole del gioco ma è un «patto che i vincitori impongono ai vinti».

Ma questa nuova costituzione è illegittima non solo sul piano del metodo, ma anche su quello dei contenuti, che come stabilì una storica sentenza della Corte costituzionale del 1988 non possono derogare ai «principi supremi» della Costituzione. Non mi soffermo sulla cosiddetta «devolution», che assegnando in maniera esclusiva alle regioni scuola, sanità e funzioni di polizia, rompe l'unità della Repubblica che si basa sull'uguaglianza dei cittadini nei diritti fondamentali, quali sono in particolare i diritti sociali alla salute e all'istruzione.SEGUE A PAGINA 11



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