STORIE

Istria 1943: quanti morirono?

LA STAGIONE DI SANGUE
SCOTTI GIACOMO,ITALIA/TRIESTE

Nella relazione di un diplomatico dello «Stato indipendente croato» (quello degli ustascia) che seguì le truppe tedesche in Istria dopo il 4 ottobre `43, si legge: «I partigiani hanno ucciso circa 200 prigionieri fascisti, gettandone i corpi nelle foibe». A loro volta i tedeschi, dopo una dettagliata esplorazione di 52 tra foibe e cave di bauxite istriane, cominciata il 16 ottobre 1943 a Vines (Albona) e conclusasi nel gennaio 1945 con l'impiego dei vigili del fuoco di Pola, pubblicarono un elenco nominativo di 232 vittime. La stampa fascista repubblichina dell'epoca, riferendo un rapporto del Federale dei Fasci dell'Istria Luigi Bilucaglia, scrisse di 349 vittime degli «slavocomunisti», cifra successivamente portata a 419, comprendendo in essa anche persone date per scomparse. Lo storico triestino Galliano Fogar indica la cifra massima di 570 persone uccise, «in maggioranza italiani ma anche slavi», aggiungendo: «Fu una giustizia sommaria, sembra contro le direttive impartite, innescata dalle sofferenze e persecuzioni patite», «ma anche da vendette per rancori e contrasti paesani e dall'intervento, in quel confuso clima insurrezionale, di elementi criminali».

Cifre inventate

La pubblicistica neo e postfascista di oggi parla invece indiscriminatamente di vittime civili innocenti, massacrate solo perché italiani, inventando cifre che per la sola Istria vanno dai mille ai duemila morti. Un altro storico triestino, Roberto Spazzali, nel voluminoso libro «Foibe, dibattito ancora aperto» edito dalla Lega Nazionale di Trieste, ha onestamente riconosciuto che molti «storici» hanno puntato sul sensazionalismo, sull'effetto del numero che dovrebbe affermare il concetto dell'olocausto, ovvero del «martirio olocaustico» degli italiani in Istria. Sono state così proposte «versioni, cifre e giudizi mai verificati da dati oggettivi» nell'intento di produrre «una moltiplicazione emotiva ed anche politica» delle vittime, presentando un quadro «macroscopicamente lontano dalla realtà».

La falsificazione delle cifre è un immorale gioco di sciacallaggio politico; basterebbe il sacrificio anche di pochi innocenti per indurci a denunciare il crimine commesso. E gli innocenti, tra gli infoibati istriani, ci furono. Furono parecchie le vittime di vendette personali, compiute da criminali comuni - come il malfamato Matteo Stemberga di Albona, che sterminò perfino alcuni suoi parenti. Alcuni individui, che avevano indossato la camicia nera o la divisa di carabiniere fino a qualche mese prima, per riscattarsi del proprio passato, si trasfomarono dalla sera al mattino in «partigiani», zelanti cacciatori di teste.

Non tutte le vittime, però, furono «civili innocenti». Ricordiamo che furono le stesse autorità fasciste istriane, civili e militari dell'epoca a indicare molti degli infoibati come «militi della Mvsn» o appartenenti a organizzazioni sociali del Partito fascista. In un documento della Prefettura repubblicana di Pola si parla esplicitamente di «nostri disgraziati squadristi». L'etichetta di fascisti, squadristi ecc. venne data alla maggior parte delle vittime anche dai giornali repubblichini dell'epoca, in occasione della riesumazione delle salme e dei funerali. Il Corriere Istriano di Pola e Il Piccolo di Trieste mettevano in risalto nei loro necrologi, accanto a nomi e cognomi, le cariche di podestà, segretario del Fascio ed altro, insieme a gradi e titoli vari. Oggi, accanto a quei nomi, figurano solo professioni e mestieri, da ingegnere ad agricoltore, con l'aggiunta stereotipa di «vittime della barbarie comunista slava». Viene ripetuta una terminologia usata dai fascisti al servizio dei nazisti dall'ottobre 1943 alla fine di aprile 1945, quando furono pubblicati opuscoli e libelli che incitavano alla distruzione di quei «barbari», degli «aguzzini rossi», delle «bestiali orde di Stalin». Le parole furono accompagnate dai fatti, come presto diremo.

Un'altra tesi degli «storici» neo e postfascisti è quella del genocidio degli italiani.

Non solo italiani

È fuori dubbio invece che non tutti gli infoibati erano italiani, così come non pochi fascisti locali erano «italianissimi croati» con cognomi slavi italianizzati. Fra questi ci furono fascisti colpevoli solo di esser stati esattori delle imposte, guardie comunali e forestali, segretari comunali, o possidenti terrieri: ma ci furono anche agenti e confidenti dell'Ovra.

I fascisti superstiti si vendicarono largamente denunciando ai tedeschi non centinaia ma migliaia di cosiddetti «slavocomunisti» e loro familiari. Chi oggi, invoca giustizia per le vittime della cosiddetta «barbarie slavocomunista», mescolando insieme innocenti e criminali, dimentica che già sessanta anni or sono, proprio in nome degli infoibati, fascisti e nazisti eseguirono una colossale vendetta mettendo l'Istria intera a ferro e fuoco, al punto da suscitare lo sgomento e l'aperta denuncia delle autorità ecclesiastiche, con alla testa l'arcivescovo di Trieste e Capodistria, mons. Santin. Il 4 marzo 1944 sul giornale Vita Nuova, organo di quella diocesi, furono denunciate le «truculenti espressioni della barbarie umana» e «le arbitrarie violenze contro uomini e cose» quotidianamente commesse dai nazifascisti con incendi di paesi, deportazioni, esecuzioni sommarie.

Sarebbe lungo riportare tutti gli eccidi compiuti dai fascisti istriani dopo l'arrivo dei tedeschi - e dagli stessi tedeschi, che nei fascisti locali trovarono ottime spie e guide per le loro sanguinose spedizioni. Basti citare il bollettino germanico che già il 7 ottobre `43 faceva un primo bilancio dell'occupazione della penisola e della repressione, informando: «Sono stati contati i corpi di 3.700 banditi uccisi. Altri 4.900 sono stati catturati, fra questi gruppi di ufficiali e soldati badogliani», dunque italiani. Otto di essi, marinai, vennero fucilati nei pressi di Gimino; i loro corpi, lasciati insepolti, furono tumulati dai contadini, molto più tardi, in una cava di bauxite (e conteggiati fra gli infoibati). Il 23 ottobre il bollettino tedesco parlava di 13.000 banditi uccisi o fatti prigionieri. Erano tutti civili, come poi le centinaia e migliaia che sarebbero stati massacrati nei mesi seguenti in tutta la regione. Sempre, a indicare i villaggi da rastrellare e le persone da uccidere furono i fascisti italiani, zelanti servitori dei nazisti.

Collaborazionisti in prima linea

Oggi quei collaboratori che aiutarono i nazisti a mettere l'Istria a ferro e fuoco, sono in prima linea nel denunciare i «crimini dei comunisti slavi dell'Istria» e nel coprire, tacere o trasformare in pagine di patriottismo italico il loro coinvolgimento nelle stragi compiute dopo la pagina nera delle foibe. Uno di questi, in veste di storico, fecondo compilatore di libelli, è Luigi Papo da Montona, ex comandante della Milizia repubblichina del 2° reggimento «Istria» sotto il comando delle Ss, che effettuò feroci e ripetuti rastrellamenti nella penisola, come si ricava dagli encomi rivoltigli dal foglio Corriere Istriano di Pola, nel novembre 1943, per aver fondato il fascio e la «Squadra d'azione» di Montona e per le successive operazioni contro i «banditi» partigiani. Ne fu richiesta l'estradizione dalle autorità jugoslave per crimini di guerra, ma a suo favore si adoperò l'on. Scelba, allora ministro dell'interno, facendo archiviare la richiesta.

La tesi ricorrente degli storici di matrice fascista è che l'esodo delle popolazioni istriana, fiumana e dalmata - avvenuto nel decennio 1945-1954 e in seguito, sia diretta conseguenza delle foibe. Sul quotidiano Il Piccolo di Trieste (16 febbraio 2003) si poteva leggere una lettera alla redazione di tale Alesandro Perini, esule da Capodistria. In essa scrisse: «Non si deve dimenticare mai (...) che il fascismo di Mussolini, che ha dichiarato guerra a mezzo mondo, paesi balcanici compresi, ritrovandosi alla fine del conflitto senza l'Istria, senza mezzo Isontino e con un debito economico e morale incalcolabile (...) è l'unico responsabile dell'Esodo. Esatto. Con la precisazione che l'Italia di Mussolini non dichiarò guerra ai paesi balcanici, Grecia e Jugoslavia, ma li aggredì e li invase senza dichiarazione di guerra, occupandoli, seminando in quelle terre stragi e distruzioni immani, coprendo l'Italia di vergogna. Ciononostante, nessuno dei numerosi statisti italiani che si sono avvicendati al vertice del governo e dello stato dopo la caduta del fascismo - nessuno, ripeto - ha ritenuto finora necessario chiedere scusa e perdono alle vittime di quell'aggressione e di quella occupazione, ai figli e nipoti di centinaia di migliaia di massacrati. Si dimenticano pure i circa 5.000 uomini e donne, vecchi e bambini istriani trucidati dai tedeschi e dai militi del fascio repubblicano che terrorizzarono quella penisola, portando inoltre alla deportazione di altri 15 mila istriani nel periodo fra ottobre `43 e fine di aprile 1945.Chi è accecato dall'odio antislavo dimentica perfino l'aiuto che le popolazioni croate e slovene dell'Istria fornirono in tutti i modi alle migliaia di soldati italiani sbandati che, arrivando dalla Balcania, cercavano di raggiungere attraverso l'Istria e Trieste le loro case lontane.



Decenni di confusione

Questo vuole essere un contributo alla chiarificazione, contro la confusione seminata per decenni da chi ha cercato di strumentalizzare le foibe da una parte, e contro la rimozione di una memoria dolorosa dall'altra. Come direbbero gli storici triestini Raoul Pupo e Roberto Spazzali, bisogna che cessi una volta per sempre la messa in circolazione di «criteri di lettura di quella stagione di sangue tutti interni ai risentimenti, alle accuse e alle ripulse, come se mezzo secolo fosse passato invano».

Da parte slovena e croata non si può continuare a negare i crimini compiuti contro gli italiani e gli stessi slavi dell'Istria da singoli esponenti della rivolta istriana del settembre; non si può negare la tragedia delle foibe, frutto anche di revanscismo; ma da parte italiana non si deve negare la sanguinosa storia scritta in quelle terre dal fascismo italiano prima e dal collaborazionismo fascista al servizio dei tedeschi dopo l'8 settembre 1943. La nostra memoria deve portare sì la dolorosa tragedia delle foibe, vista nella sua esatta cornice storica; ma anche gli orrori del fascismo devono essere parte di questa memoria. Guai a coltivare la visione manichea - oggi predominante negli scritti degli «storici» revisionisti - secondo cui gli italiani furono tutti e sempre buoni, con rare eccezioni, mentre gli slavi sono stati tutti e sempre cattivi, con rare eccezioni; non è vero che i fascisti combatterono in Istria, prima e dopo l'8 settembre, per una causa patriottica e giusta, mentre i partigiani sarebbero stati degli scellerati usurpatori.

Tesi assurde

Una volta per tutte - infine - va sottolineata l'assurdità delle tesi del «genocidio» che gli slavi in Istria avrebbero compiuto sugli italiani. Il tragico destino dei disgraziati che trovarono atroce morte nelle foibe non può essere usato dopo 60 anni per istigare passioni ed odio interetnico, per spezzare legami di amicizia che abbiamo saputo far rivivere nonostante l'odio che i vetero e neofascisti continuano a seminare. Nessuno di noi, oggi, può e vuole negare l'esistenza di vittime della jacquerie rivoluzionaria istriana della seconda metà di settembre 1943, né si può negare che nello stesso Partito comunista croato l'internazionalismo proletario fu inquinato da nazionalismi deleteri che si manifestarono soprattutto in Istria con l'invio nella penisola, quali emissari del Movimento di liberazione croato di ex fuoriusciti comunisti e nazionalisti (narodnjaci); non si può però neppure dimenticare che fra quelle vittime c'erano coloro che prima erano stati carnefici.

Occorre perciò reciproco perdono, lo sforzo di operare in futuro per la reciproca riconciliazione. Il buon nome dell'Italia non si difende esaltando i fascisti e ignorando i crimini del fascismo, così come per un futuro di pace va permesso che i figli delle vittime innocenti delle foibe possano deporre un fiore sui luoghi del sacrificio dei loro padri. Per quel che può valere, propongo che i presidenti di Slovenia e Croazia depongano corone ai margini delle foibe di Basovizza presso Trieste e di Vines in Istria, e che il presidente italiano si rechi sul luogo dell'eccidio di Pothum presso Fiume o nel cimitero di Kampor sull'isola di Arbe per onorare le vittime innocenti della barbarie fascista italiana. Si onorino i figli martiri dei tre popoli confinanti che dai loro sepolcri invocano un avvenire di convivenza, di collaborazione e di pace. La pace può scaturire unicamente, come direbbe il poeta fiumano Alessandro Damiani, dalla condanna di «atti / a misura delle bestialità umana, / cui ideologie e fedi offrono / sempre miserrima copertura».

(3-fine. Le prime due parti sono apparse il 4 e il 12 febbraio)

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