PRIMA

Lezioni irachene

CASTELLINA LUCIANA,IRAQ/ITALIA

L'afflusso alle urne in Iraq - certamente più ampio di quello inizialmente previsto - ha riacceso un confronto sui nodi che quel conflitto ha aperto. E' destino che la vicenda di questo disgraziato paese finisca sempre per trovarsi in mezzo ai momenti peggiori della vita della sinistra italiana. Fu così nel 1991, quando il voto sulla partecipazione alla prima guerra del Golfo spaccò il Pci che stava sciogliendosi; torna all'odg ora, mentre la Gad sta faticosamente cercando di nascere per presentarsi alla sfida con Berlusconi. Per fortuna non sembra adesso destinato a lacerare i Ds: nella sua relazione al congresso Fassino, pur con molte vaghezze («dobbiamo avviare», «dobbiamo discutere»: con chi? con Allawi? con Bush?) ha tenuto ferma la posizione assunta da Prodi e approvata da Bertinotti: ritiro delle forze occupanti, eventuale invio di forze Onu. E' un punto fermo importante anche se non del tutto coerente con il giudizio che egli ha dato sul voto di domenica scorsa. E sul significato che questo ha avuto credo valga la pena discutere per non dovere tornare a dividersi domani.

E' stato un «successo della democrazia», come ha detto il segretario Ds e in qualche modo è stato ripetuto in questi giorni da molti? Nessuno, certo, pensa che si sia trattato di una libera espressione, perché ognuno è ben conscio che così non avrebbe potuto essere nelle condizioni dell'occupazione. E tuttavia in molti hanno profittato dell'occasione che è stata loro offerta: gli sciiti, ubbidendo all'invito del loro capo religioso, nella speranza, sentendosi maggioranza del paese, di eleggere in futuro un governo proprio, non più imposto dagli americani; i kurdi, perché questa sembra la via attraverso la quale conquisteranno l'agognata indipendenza. Quel che sembra davvero difficile dire è che da quel voto - come ha detto Fassino - potrà «nascere un Iraq libero», che esso possa essere «leva per un cambiamento di scenario», che potrà aprire la strada «all'elezione di un parlamento che rappresenti tutte le comunità irachene». Purtroppo simili aspettative appaiono del tutto prive di fondamento, le due sole possibilità che potranno dischiudersi apparendo ambedue terrificanti: o la riconferma del governo attuale, e cioè di un primo ministro che è anche notorio agente della Cia e che ha già chiesto ai suoi amici che lo hanno insediato di restare, per carità, in Iraq; oppure, forse e magari fra qualche tempo, un governo islamico, i cui fautori hanno già annunciato di voler fare della sciarìa la legge fondamentale, e che dunque aprirà inevitabilmente la strada a ulteriori sanguinosi conflitti con laici e sunniti. Una situazione che renderà in ogni caso permanente la presenza di truppe straniere.

E' per questo che la resistenza (che non è Zarqawi, che è invece un terrorista fanatico), o perlomeno quei gruppi che pur fra mille difficoltà e limiti politici pesantissimi sono degni di questo nome, hanno suggerito il boicottaggio del voto (anche se hanno annunciato che non avrebbero colpito chi decideva altrimenti e devono aver mantenuto l'impegno, visto che tutto si è svolto in relativa calma). Difficile dar loro torto: voi ci sareste andati a votare sapendo che dalle urne non poteva uscire che la ratifica del gauleiter scelto e controllato da Bush? Se la guerra è illegittima, illegittimo è ovviamente, anche il governo che ne ratifica il risultato e che resta agli ordini di chi l'ha fatta, sebbene formalmente (ma quanto formalmente) approvato dalle elezioni.

La difficoltà della fase che si apre è grande e bisogna tener conto che se in qualche modo si legittima Allawi si potrebbe finire per dover accettare la sua richiesta: che americani e alleati restino accampati nel paese, a salvaguardia dei pozzi.

Simpatia e antipatia per Saddam mi sembra c'entrino poco nella vicenda elettorale.SEGUE A PAGINA 2

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