Prima ancora che il film fosse mostrato in anteprima ai giornalisti, Alla luce del sole ha occupato le prime pagine dei giornali. Capita di rado e se è accaduto non è solo per via del clamore suscitato dalla concomitante censura all'inchiesta di Report che aveva osato dire che la mafia esiste; né solo perché si torna a trattare di mafia, in un'epoca in cui i mafiosi sono così saldamente al potere da avere indotto una rimozione politica anche nell'opposizione. È perché della mafia Roberto Faenza ha scelto di parlare in modo diverso dal solito e questo modo ha intrigato i giuristi e i politici chiamati a discuterne venerdì alla Casa del cinema. Mettendo in primo piano le persone delle vittime anziché gli assassini: quella di padre Pino Puglisi e quelle struggenti dei bambini del Brancaccio di Palermo. Oggi che il film arriva finalmente nelle sale se ne sa dunque già molto e non resta che invitare tutti a non perdere la pellicola: perché commuove davvero e però anche perché fa capire molte più cose del contesto in cui opera il cancro mafioso di quanto avrebbe potuto fare una inchiesta socio politica. E dice dei terribili anni `90 in cui il delitto fu perpetrato, proprio alla vigilia della prima vittoria di Berlusconi, la stagione in cui il nostro paese ha toccato il fondo. Non capisco bene perché Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, abbia scritto che nel film non si vede «lo sfondo», e cioè il contesto in cui la vicenda si dipana. In quegli anni - a me pare, e questa è la durissima verità che Faenza ci impone - il contesto non contava più. Non c'è più fondale, insomma: perché per un verso la rete del potere mafioso e delle sue collusioni si è a tal punto radicata da divenire normalità, un dato oggettivo e inamovibile, come la pioggia o il vento, che non si mettono in discussione perché sono natura, come natura è considerato un certo tasso di illegalità. Non c'è più da indagare, perché non c'è più nulla da scoprire. Per un altro verso la scena è vuota perché attorno a quella parrocchia del Brancaccio non c'è più niente di buono, è un deserto sociale e politico in cui i legami con il potere, le omertà, i silenzi - che vengono tutti indicati, ma solo con qualche pennellata, perché i fatti sono arcinoti - non sollevano più nemmeno rabbia o protesta o scalpore.
Padre Pino Puglisi, «il 3P dalle grandi orecchie» - come lo chiamano i ragazzi (di Verona, non di Palermo ) oggi impegnati a ricordarlo, alludendo ad una sua caratteristica fisica ma anche alla sua grande capacità di ascolto - era solo e il film è proprio un film sulla sua solitudine disperata in un quartiere dove non ci sono più né partiti né sindacati né organizzazioni religiose, né esiste ancora quella cosa che si chiama Ong e che oggi ha smosso un poco le acque. Senza parlare delle istituzioni, della loro assenza: stato, polizia, stampa. Non c'è neppure la storia, una qualche memoria di lotte e valori che pure in Sicilia hanno contato.
Non tutti lontani per complicità, ma peggio: per disinteresse. Perché i partiti sono morti, la politica è stata vomitata, e la società civile, che non è sempre migliore di quella politica - pur esaltata - non ha saputo trovare alcuna forma di espressione. Sta accomodata, silenziosa, sotto il macigno.
Ho pensato, guardando Alla luce del sole, ad un altro grande film sulla mafia, I cento passi di Marco Tullio Giordana. Anche Peppino Impastato è un eroe isolato che alla fine viene ammazzato. Ma in quella Cinisi si muoveva ancora la politica: quella reticente e codarda di una sinistra diventata paurosa, quella superficiale dei giovani hippies, ma anche quella, onda lunga del `68 che ha ancora energia e che spinge un gruppo di ragazzi a dar vita alla radio Aut Aut , una madre a alzare la testa, un pezzo di paese alla fine a reagire. Ma erano gli anni `70, sia pure nel loro drammatico declino. Quindici anni dopo, quando padre Puglisi va a far da parroco al Brancaccio, si è ormai operata la desertificazione.
Qualcosa negli ultimissimi anni, tuttavia c'è stato: una ripresa dei movimenti e un timido ritorno alla politica. Per questo forse la boa è stata girata. Ma il documentario su come il set di Alla luce del sole ha operato, con le interviste agli attuali bambini del quartiere, ci dice che al Brancaccio non è arrivato nulla. E forse nemmeno nei tanti Brancacci d'Italia, peraltro non tutti al sud. Perché non si è riusciti ancora neppure a incrinare il vero potere della mafia, quello che le viene dal fatto che la sua economia illecita è la sola che esiste, per cui le mamme sono costrette a mandare i bambini a spacciare perché altrimenti non saprebbero cosa dar loro da mangiare. Al potere fa comodo che sia così: la mafia esercita per certi versi una supplenza sociale. P.S. In Alla luce del sole c'è qualcosa che riguarda il manifesto. Andatelo a vedere anche per questo.