VISIONI

Le strano ballo della statuina

ONORI LUIGI,ROMA

Presepe vivente e cantante mette insieme la verve teatrale e surreale di Davide Riondino con la musicalità estrosa e scenica di Stefano Bollani, a cui la divisa del jazzista è sempre stata piuttosto stretta. Presentato alla sala Petrassi dell'auditorium capitolino il 6 gennaio, il Presepe vivente e cantante prevede un narratore (Riondino, suoi i testi), un pianista (Bollani, autore e inteprete delle esuberanti e pregnanti musiche) e quattro statuine cantanti, i bravissimi Paolo Benvegnù, Monica Demuru, Petra Magoni e Mauro Mengali che mantengono per quasi tutta la pièce una postura immobile. Davide Riondino (sciarpa bianca, bastone e chitarra) anticipa, commenta, suggerisce, provoca, tesse con il suo arguto colloquiare - arricchito da qualche breve inserto canoro - la sua riflessione filosofica, politica, esistenziale. Si parte dalla condizione assurda e innaturale a cui sono condannate quattro statuette del presepe che ogni anno, per breve tempo, prendono parte a una rappresentazione di cui non sanno più nulla e sono, quindi, condannate a una eterna immobilità, persone viventi come congelate nell'attimo in cui sono stati raffigurati. Così il pastore con la pecorella sulle spalle è bloccato in questa paradossale posizione e può solo figurarsi la bellezza della pastorella che ha davanti ed ella, dal canto suo, può solo immaginarlo - e lo prende per un principe - dato che ne ode soltanto la voce (le statue si esprimono cantando). L'altro pastore guarda verso l'alto, disperatamente e forzosamente aggrappato all'idea del cielo mentre la seconda pastorella parla in una lingua di invenzione (il sardobabilonese) che il dotto narratore traduce con effetti di grande comicità. Nessuno sa, in definitiva, cosa ci sia all'orizzonte, nessuno ha la più pallida idea di chi sia al centro del presepe. Questa dimensione potrebbe apparire cupa e disperante ma nel serrato montaggio tra voci, interventi di Riondino, parti cantate, strutturale presenza di Bollani (il suo piano è illuminato come un albero di Natale!) scorre lieve una parabola che nella seconda parte dello spettacolo assume contorni più netti. Le quattro statuine rappresentano personaggi contemporanei, sempre immobili nella loro condizione: un soldato che ha un piede su una mina; una giovane alienata alla ricerca dell'amore; un bellimbusto benestante e vanesio; una ricercatrice piuttosto addentro al campo della clonazione e dell'ingegneria genetica.

Riondino introduce nel suo presepe alcuni elementi caratteristici della contemporaneità: la guerra e gli attentatori kamikaze; l'apparire piuttosto che l'essere, la solitudine; la definitiva trasformazione della condizione umana. Davvero esilarante la filastrocca che la ricercatrice intona e che riscontra nel presepe la presenza di ben tre bambini Gesù, evidentemente clonati.

Tra ritmi latini, canzoni, duetti e momenti corali, l'operina ha una serie di finti finali. Quello vero è quando il soldato si stacca dal suo piedistallo per abbracciare la sua amata e la mina non scoppia; potrebbe farlo, sottolinea Riondino, ma per ora non esplode. Non è l'amore, però, che trionfa: è l'impulso irresistibile a «non stare fermi», come cantano le stratuette finalmente liberate, a scantonare dai condizionamenti e dai ruoli, dalle gabbie e dai conformismi mentali, dalla passività politica e sociale, dalla rinuncia al pensiero, alla critica, alla fantasia. Con la sua leggerezza e le tante risate, il Presepe vivente e cantante ha un messaggio fortemente politico e civico, di impegno, quasi di riscatto e, con altri accenti, ricorda le parole di Vandana Shiva pubblicate ieri da il manifesto. Nel presepe della vita sulla terra siamo tutti statuine cantanti ma possiamo provare a non stare fermi.

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