REPORTAGE

Il grande sogno a sud dell'Impero

Chavez rilancia la sfida di un'America del sud unita e indipendente/2
CASTELLINA LUCIANA,VENEZUELA

La cosa forse più importante che è accaduta negli ultimi tempi in America Latina è passata altrove quasi inosservata. Non negli Stati uniti, dove l'evento ha ulteriormente allarmato la già preoccupatissima amministrazione Bush. Si tratta della cumbre (il summit) degli stati latinoamericani, tenuta il 9 dicembre a Cuzco, nel 180° anniversario dell'ultima e definitiva battaglia di liberazione vinta, nella vicina Ajacucho, contro 9.000 armatissimi soldati spagnoli, dai 5.000 uomini dell'esercito bolivariano, in cui si erano arruolati cittadini provenienti da tutte le nazioni del subcontinente, al comando del giovanissimo maresciallo Sucre. Tema all'ordine del giorno nell'antica capitale degli Incas: la fondazione di una «Comunità delle nazioni sudamericane» che dovrà includere tutti, procedendo anche all'unificazione delle due comunità di cui sono oggi membri, a nord Colombia, Perù, Bolivia, Equador e Venezuela (quella Andina), a sud Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e, come associati, il Cile e, di nuovo, il Venezuela, la Bolivia e il Perù (il Mercosur). 360 milioni di persone, un pil limitato - 1 trillione di dollari - ma potenzialmente assai maggiore, viste le immense risorse naturali della regione. Se si pensa che alcuni di questi paesi, e tra quelli decisivi, sono oggi governati dalla sinistra che non nasconde la sua volontà di liberarsi dal giogo che gli Stati uniti impongono da secoli ai loro vicini meridionali, si capisce perché a Washington la notizia non sia passata inosservata.

Tra artisti e intellettuali

Sebbene nella Conferenza internazionale di artisti e intellettuali tenuta a Caracas agli inizi di dicembre Hugo Chavez non abbia mancato di ironizzare - il colonnello è uno straordinario show man (fantastiche le sue imitazioni di Fidel ) - sulla pratica di cumbre sempre più frequenti, che obbligano i presidenti a correre da un vertice all'altro perdendo tempo infinito («forse le hanno inventate apposta»), per farsi ritrarre nelle foto di gruppo e varare documenti declamatori («che io firmo aggiungendo sempre: con reserva integral»), su questo incontro di Cusco il presidente venezuelano non ha scherzato. Per l'immediato, ha detto, non ne uscirà gran che, ma il valore simbolico del luogo, della memoria che incorpora e del progetto per il futuro che vi si propone, può dare grande slancio al rilancio del sogno bolivarista. Che è la stella polare di Chavez, cui non si stanca di dedicare inventiva e energia, anche usando la sua grande ricchezza petrolifera per aiutare i più ricattati e deboli dei suoi partner ma insistendo sul fatto che un'unificazione del subcontinente ha sì bisogno di misure statali, ma non può comunque esser fatta dai presidenti, deve venire dal basso, integrando i suoi popoli, a cominciare dai contadini e dagli indigeni. E infatti, parallelamente ai rapporti istituzionali sta tessendo anche la trama di una rete di organizzazioni e partiti latinoamericani disposti a impegnarsi in questo senso, in sostituzione del vecchio Forum di S.Paolo che riuniva la sinistra e che sembra aver da tempo perso dinamismo. Già l'indomani della Conferenza degli intellettuali a Caracas si è aperta quella dei comitati bolivariani, come Chavez ha denominato il nascente movimento continentale, un appellativo che non piace a tutti (molti vi avvertono un tentativo di prevaricazione). Tutti, però, sono stati presenti.

Chavez avverte che nonostante le differenze (e diffidenze) che corrono fra i diversi governi, compresi quelli di sinistra, questo inizio di secolo apre una prospettiva senza precedenti alla «seconda liberazione bolivariana». «Prima eravamo solo due diavoli - dice alludendo al Venzuela e a Cuba - ora non siamo più isolati. Non vogliamo esportare le nostre rivoluzioni, ma chiediamo ascolto per le nostre proposte; e cominciamo a ottenerlo: creare una petrosur che metta insieme, in una sola potente società, il potenziale energetico venezuelano, argentino, boliviano, e - perché no? - in prospettiva anche messicano (viva Mexico, come si fa a pensare all'America Latina senza quel paese?); creare una Banca centrale comune, per sottrarre i milioni di nostri dollari alla gestione delle banche statunitensi che poi ce li prestano a caro prezzo; costruire un Fmi subcontinentale; inventare una emittente comune, Tv Sur, per contrastare l'egemonia culturale di Hollywood».

L'integrazione economica non è tuttavia affatto facile e rende colmo di ostacoli il percorso annunciato. L'Argentina, per esempio, si difende dalle esportazioni della potenza Brasile elevando barriere doganali; il Brasile, a sua volta, sebbene tentato dall'ipotesi di assumere la leadership del Cono sud, non è abbastanza ricco per svolgere il ruolo che ricoprì in Europa la Germania. Lula, inoltre, è già guardato con ulteriore sospetto dall'ala più forte della sua imprenditoria che preferisce di gran lunga continuare ad avere come partner gli Stati uniti, piuttosto che avventurarsi nei fragili mercati vicini. Il risultato è che la tariffa esterna comune del Mercosur contiene 800 eccezioni e ognuno dei suoi membri sembra per ora assai più impegnato a garantirsi qualche protezione nazionale che ad affrontare la sfida comunitaria.

Se le difficoltà sono dunque ancora infinite sul piano economico immediato, il progetto pesa molto sul piano della politica estera. Dice Teutonio dos Santos, uno dei più noti esponenti del gruppo di economisti di sinistra del Brasile, a lungo in esilio, oggi nell'ala del Pt critica verso il governo Lula: «L'ipotesi del mercato unico continentale ha forza perché corrisponde a un'identità politico-culturale comune, a movimenti sociali simili, a un dato geografico e storico, la colonizzazione ispano-portoghese e poi quella statunitense che ha prodotto, per via dell'appoggio di Washington alle dittature e al feroce liberismo dei governi che sono seguiti, un desiderio collettivo di autonomia che cerca la sua strada».

Hugo Chavez, Nestor Kirchner, Tabarè Vasquez, Lula da Silva sono, insomma, sulla stessa onda, sia pure procedendo ciascuno a suo modo. E su questa si muove adesso anche il piccolo Paraguay, che, grazie all'appena eletto nuovo presidente - Nicanor Duarte Frutos - ha scelto anch'esso la linea Sud. Ma nella stessa direzione spira il vento anche dell'America centrale, dove, a parte lo sdoganamento di Cuba operato da Zapatero, la crisi post-guerriglia della sinistra appare in via di superamento, come dimostrano le consistenti affermazioni nelle elezioni amministrative nel Salvador e in Nicaragua. E tornano a manifestarsi, grazie a una nuova leva giovanile, movimenti di qualche rilievo sia in Cile che nel Messico urbano.

E' un fatto che l'Alca (l'area di libero scambio delle Americhe), che gli Stati uniti hanno disperatamente tentato di far ingoiare, è ormai bloccata dall'intreccio della resistenza popolare e dei governi e, mentre Washington tenta di ripiegare sui meno ambiziosi accordi bilaterali, una rete di scambi sud-sud si sta costruendo, innanzitutto quello fra Caracas e Buenos Ayres: petrolio venezuelano contro petroliere costruite nei cantieri argentini, la prima volta che il greggio di Maracaibo viaggia verso sud anziché verso nord. (Chavez si è anche impegnato a spostare almeno il 25% dei suoi acquisti sul rio della Plata).

E poi, per certi versi inaspettata, c'è la comparsa sulla scena del continente Cina. Che compra enormi quantità di ferro, bauxite, zinco, magnesio, grano di soya in Brasile, stagno in Bolivia, rame in Cile e non so cos'altro in Argentina. In occasione del suo viaggio di ben due settimane in Argentina, Brasile, Cile e Cuba, Hu Jintao ha annunciato 50 miliardi di dollari di nuovi investimenti. Ma il presidente cinese ha deciso di elargire anche veri e propri aiuti: 12 milioni di dollari nientemeno che alla repubblica-isola dominicana e persino 23 ad Antigua, perché possa dotarsi di un campo di calcio. Lula (del Brasile la Cina è, dal 2003, secondo partner commerciale) risponde, entusiasta, dando voce a un sentimento comune: questo impegno - dice - costituisce un «paradigma della cooperazione sud-sud ». In nome dell'obiettivo politico della multipolarità, i presidenti cercano insomma di mediare rispetto ai propri locali gruppi economici, anche concedendo, a questo scopo, all'Unione europea, in tema di liberalizzazione degli scambi, assai di più di quanto non abbiano dato agli Stati uniti. A Lula poi, pur criticato apertamente da un'ala ben consistente della sinistra per quelli che vengono considerati cedimenti al neoliberismo e piuttosto distante, non solo dal ben più radicale Chavez, ma anche da Kirchner, si riconosce però il merito di star tentando di giocare un ruolo assai importante nel costruire una strategia alternativa assieme agli altri big del sud: oltre alla Cina, il Sud Africa e l'India.

Non sarà il socialismo, ma non c'è dubbio che questo nuovo rapporto offre una sponda insperata al progetto della «seconda» liberazione bolivariana, come a Washington sanno benissimo.

Quel che i Ds non capiscono

Di fronte a questi accelerati mutamenti, e al ruolo che nel processo gioca il Venezuela, paese chiave, per via del dinamismo del suo presidente e del suo petrolio, nei rapporti di forza del subcontinente, c'è da tornare a chiedersi perché mai la sinistra europea, e segnatamente i Ds italiani, continuino ad avercela con Chavez. Proprio con Chavez, definito «dittatore» pur se eletto e rieletto democraticamente, volontariamente espostosi al rischio di un referendum revocatorio (un diritto senza precedenti concesso agli elettori ), un voto verificato da uno stuolo di osservatori internazionali capeggiati da Jimmy Carter. Perché ostinarsi a guardare a un quadro politico che nel Venezuela ormai è del tutto virtuale, perché i vecchi partiti non contano più e semmai una opposizione democratica e non golpista al presidente dovesse sorgere è più probabile che nasca dalle fila del suo stesso movimento che da quelle del vecchio e tramontato mondo politico, comunque per via di nuove contraddizioni e per voce di protagonisti diversi? La Spd, che come tutta l'Internazionale socialista stenta a rompere il proprio sodalizio con il suo compagno Carlos Andrès Perez, ex presidente del Venezuela, caduto per impeachment e fuggito per evitare di essere incarcerato per corruzione, ha perlomeno inviato nelle settimane scorse a Caracas, per capire meglio la situazione, un esponente del suo braccio diplomatico, la Fondazione Friedrich Ebert. I Ds, in occasione del referendum, hanno invece inviato Ignazio Vacca, ma in qualità di invitato dalla Coordinadora democratica, i golpisti. Il quale, a differenza dell'ex presidente degli Stati uniti, ha continuato a parlare di brogli nel voto referendario di agosto. D'Alema, come deputato europeo, si è fatto collocare nella delegazione permanente presso il Mercosur. Speriamo bene.



(2/ fine. La prima puntata è uscita martedì 21 dicembre
)

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