VISIONI

Mikado, vent'anni di sfide da Jarman ai registi italiani

CASTELLINA LUCIANA,ITALIA

Nella sua prefazione al libro che la Mikado pubblica per celebrare i suoi primi vent'anni di attività (al Chiostro Del Bramante oggi si apre una mostra-omaggio con opere dedicate a questa casa di distribuzione di Rotella, Levini e altri artisti) Luigi Musini, che l'ha fondata con Roberto Cicutto, racconta come arrivarono a dare questo nome esotico alla loro società di distribuzione cinematografica: «perché poteva esser abbinata ad un bellissimo logo, ispirato ad un antico simbolo del Sol Levante» - scrive. Il perché me lo ero chiesto molte volte e ora sono un po' delusa perché la spiegazione mi pare quasi riduttiva. Avevo creduto - e comunque continuerò a pensarla così - che la scelta fosse stata compiuta perché quel nome simboleggia una grande tradizione imperiale e ovviamente ultraconservatrice, che però, nel pieno della ostentata modernità, potrebbe anche suonare come rifiuto di adattarsi alla piattezza dell'esistente, persino sovversione (avevo pensato a Mishima), un nome volutamente ambiguo, e però accusatore degli schematismi della cultura progressista. Perché questa è stata proprio la linea culturale provocatoria della Mikado, quella che l'ha caratterizzata sin dall'inizio. Che non a caso l'ha portata a puntare subito su un autore come Derek Jarman, sulla sfida estrema del suo Blue, un film senza immagini nell'era dell'immagine. Perché Mikado non ha mai avuto paura degli eccessi; e infatti fu lei a prendere Heimat, quando appariva inconcepibile un film che durava decine di ore. Il libro autobiografico, in realtà, non teorizza affatto le proprie scelte; ed è un suo merito. Dice semplicemente che quando nacque era il 1984, c'era l'Olimpiade reaganiana di Los Angeles, quando ai Giochi l'Unione Sovietica neppure partecipò per via di una guerra che si era fatta freddissima e Mikado esordisce proprio con un film americano. Che non avrebbe potuto essere più diverso da quell'atmosfera: Liquid Sky, sesso droga e rock.

Il libro sui vent'anni della Mikado non è affatto una pubblicazione d'occasione, un libro-strenna, commemorativo. È un volume che consente di ripercorrere la nostra più recente stagione culturale e a leggerlo ci si accorge quanta parte della nostra vita degli ultimi vent'anni sia stata legata alle emozioni e alle scoperte che la Mikado ci ha offerto: le contaminazioni teatrali; la musica come soggetto e non come semplice sfondo (32 piccoli film su Glenn Gould, Lezioni di piano, Buenavista Socialclub, la Woodstock di My Generation, fino ai Blues di Wenders e Scorsese); l'Oriente (i cinesi ma non solo); l'est europeo (Kieslowski innanzitutto); il nuovo cinema italiano, quello che rimette fuori il naso a metà degli anni `90; i grandi registi per i quali Mikado si fa anche produttore, a cominciare da Ermanno Olmi, a fianco del quale si potrebbe dire che Roberto Cicutto cresca. Ma anche la riproposizione dei classici in nuove edizioni come accade per la letteratura; e persino i film d'animazione, cui viene ridata la dignità del cinema, sottraendoci dalla servitù di Disney.

A leggere le recensioni dei 400 film distribuiti in questi vent'anni dalla Mikado colpisce che così spesso si nomini la Società. Raramente accade. In questo caso è perché la si individua come soggetto protagonista, le si riconosce il ruolo di un organizzatore culturale che distribuendo innova e svolge una funzione preziosa di orientamento. Importantissima funzione generalmente riconosciuta agli editori, mai a quella specie di editore che è il distributore cinematografico.

I film sono tantissimi e tutti «preziosi». Anzi, se non sapessi che assieme a Mikado in questi stessi anni hanno operato con grande intelligenza e coraggio anche altri - penso alla Accademy di Vania e Manfredi Traxler, alla Lucky Red tenuta a battesimo da Kermit Smith e da Andrea Occhipinti, alla Bim di Valerio De Paolis - finirei per credere che la sua lista sia esaustiva di tutto quello che abbiamo visto. (Mi è venuta voglia di condurre un'analisi comparata dei film distribuiti dalle diverse società per definire meglio le connotazioni culturali di ciascuna; e, in rapporto ad esse, degli orientamenti di quella particolare audience attiva che sono quelli che vanno al cinema in Italia).

La Mikado per il suo ventesimo compleanno si fa anche un cospicuo regalo: commette quadri ispirati ai propri film a dieci artisti, cui fa scegliere dieci fra tutti i propri film. Dieci grandi pittori, tutti italiani, perché - mi pare di capire che questa sia l'intenzione - italiano è il pubblico cui la Mikado si rivolge e l'opera dovrebbe essere l'espressione di questo spettatore collettivo che sono stati i «cinegoers» di questi anni.

Mikado oggi non è più solo una società di distribuzione, è ormai una holding - in cui è entrata la De Agostani - che controlla una società di produzione di film (Albachiara), una di produzione di homevideo (Dolmen), un network di esercenti (Circuito cinema). L'approdo non meraviglia: se c'è stata sempre una specificità della Mikado rispetto ad altri, è di aver sempre tenuto legati l'attenzione alla cultura e quella al business. Il che non è un difetto, anzi. Almeno fino a quando - e questo è l'augurio di compleanno - la seconda - per via dell'ingigantirsi dell'impresa - non debba prevalere sulla prima.

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