CULTURA

Schegge di genio sull'anti-scena di Artaud

MARTINELLI NICOLETTA,ITALIA/CAGLIARI

Grazie all'appassionata e attenta direzione artistica di Massimo Michittu, per il secondo anno consecutivo al Teatro Alkestis di Cagliari è riuscita la non facile impresa di rinnovare una sfida all'apparenza azzardata o, visti i tempi, quanto meno «irresponsabile»: dedicare un'intera stagione teatrale alla figura e all'opera, parimenti inquietanti, di Antonin Artaud, attraverso una serie di proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali, esecuzioni musicali. Il programma, davvero raffinato, è partito l'8 ottobre scorso con la proiezione di Fait divers, rarità del 1923 firmata da Claude Autant-Lara, nell'ambito di una retrospettiva coordinata e introdotta da Alessandro Cappabianca (penna storica di Filmcritica, nonché autore di pregevoli saggi sull'«atletismo affettivo» di Artaud, tra cui il recente Boxare con l'ombra, Le Mani, 2004, e la «visionaria» monografia Artaud. Un'ombra al limitare di un grande grido, L'Epos, 2001). Ma è stasera che si entrerà nel vivo dell'anti-scena di Artaud, grazie a uno spettacolo programmato per le 21 (con replica sabato alla stessa ora) presentato per la prima volta in Italia della compagnia del Théâtre du Chêne Noir di Avignone. Diretto da Gérard Gelas, un regista singolarissimo e ribelle, nell'Histoire vécue d'Artaud Mômo Damien Rémy si calerà nei panni di un Artaud deturpato nel volto e nell'animo da anni di privazioni e di trattamenti psichiatrici, ma ancora capace di quel «combat» che il 13 gennaio del 1947 lo avrebbe riportato, dopo più di dieci anni di assenza forzata dalle scene, sul palco prestigioso e formale del Vieux Colombier di Parigi. Il pubblico reagì esterrefatto, incapace di cogliere tra le grida e le sue non-sense rhymes altro che l'ennesima manifestazione patologica del «povero Artaud». Una storia intensamente vissuta, giocata tra umorismo nero e rivisitazione mitobiografica, dove - lo si capisce dai quaderni preparatori della séance - Artaud rivela di avere lavorato con metodo e precisione alla costruzione della propria biografia rovesciata, tramite riferimenti espliciti, volutamente grotteschi, a quel Momos, figura minore e non istituzionale della mitologia greca, fratello di Follia, costretto dalla propria intransigenza a vagare per la terra, spaventando gli uomini con grida e rantoli più simili a quelli di una bestia, che a quelli di un dio. A questi aspetti, diversissimi ma contigui, dell'attività di Artaud saranno poi dedicate tre conferenze (con letture di Angela Malfitano) che nelle serate tra venerdì 12 e domenica 14 vedranno alternarsi Marco Dotti, Pasquale Di Palmo e Luca Garino. Il primo incontro sarà centrato sul rapporto di comunione e lavoro tra Artaud e Colette Thomas, figura enigmatica di donna e attrice (di cui Quodlibet ha tutt'ora in catalogo, siglato con lo pseudonimo maschile René, il Testamento della ragazza morta), mentre, nella serata di sabato, Di Palmo affronterà il tema di quella che l'artista marsigliese definiva la propria «poétique étique». Domenica 14, infine, toccherà al musicista torinese Luca Garino lavorare su affinità tematiche e «dissonanze» estetiche nell'opera di Artaud e Giacinto Scelsi, introducendo quello che sarà il leitmotiv dell'ultima parte della rassegna: la musica.

Dopo l'intenso concerto del 31 ottobre - dedicato dal trio del persiano Mohssen Kasirossafar e da un virtuoso del setâr come Behdad Babai alle visioni dell'Oriente, tra Artaud e Rumi - danza, gesto e sperimentazione elettroacustica saranno al centro, nella serata di venerdì 19 novembre, del teatro sonoro della Compagnie Licences, in un'interessante produzione del Théâtre du Nesle di Parigi, dal titolo Dramaphonie I (Opus XV), con la regia di Alexandre Yterce. Un lavoro sulla materialità dei suoni e sulle «fonazioni impossibili» che spinsero Artaud, dopo anni di ricerca, a concepire il teatro anche come onda, flusso, scarica pulsionale e movimento concreto, al di là di ogni tentativo di istituzionalizzarne le forme sottomettendole ai principi, sterili, del testo, del discorsivo, o, più grezzamente, della cosiddetta «regia». A questo aspetto farà riferimento anche Marc Chalosse, ricercatore e musicista di rigorosa formazione, in quella che si annuncia come una tra le serate più interessanti dell'intera manifestazione. Partendo dai «piccoli indizi» lasciati da Artaud a proposito della «spazializzazione del suono» nella musica di scena composta, nel 1935, per la rappresentazione dei Cenci («la musica sarà diffusa da quattro altoparlanti, posti nei punti cardinali della sala»), passando per il progetto, presto accantonato, di collaborazione con Edgar Varèse, fino alla sua performance radiofonica, registrata nel 1948, Per farla finita col giudizio di dio, Chalosse lavorerà sul campo alterando modulazioni espressive e onde, lavorando sulla voce di Artaud, coadiuvato da Eric Verhne e Sebastien Lemonon, e servendosi di una tecnica, quella del remix, cara allo stesso Artaud e a uno dei musicisti a lui più prossimi, Pierre Schaeffer. L'Hommage à Antonin Artaud si chiuderà domenica 28 novembre, con la presentazione, in prima nazionale, di Je ne délire pas, una video installazione prodotta dall'Alkestis e realizzata da Raffaele Mandis.



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