STATI UNITI

Per l'America la prova del sud che cambia

BERETTA GIANNI,USA/AMERICA LATINA

Se c'è un tema che è stato ignorato in questa campagna elettorale Usa, ebbene è l'America latina. Sarà forse che negli states ritengono irreversibile l'antica dottrina Monroe dell'«America agli americani»? In realtà a Washington questa amministrazione repubblicana ha snobbato come poche il centro e sud America. Basti dire che George W. Bush in quattro anni ha visitato solo il confinante Messico e solo per un summit internazionali. La ragione sta nel fatto che il subcontinente americano si è messo a camminare patas arriba (a gambe per aria). E Bush, non sapendo che pesci pigliare, ha collezionato una serie di smacchi impressionanti. A partire dalla clamorosa indisponibiltà del Messico e del Cile nel consiglio di sicurezza dell'Onu ad avvallare l'intervento in Iraq. O del rifiuto a brutto muso di Nestor Kirchner a Colin Powel che si era recato a Buenos Aires per chiedergli truppe da inviare a Bagdad. Persino le piccole nazioni dell'istmo centroamericano (considerato il cortile di casa del gigante del nord) hanno pensato bene di seguire repentinamente Zapatero nel dissolvimento della brigata spagnola. Ed oggi solo trecento sfigati soldati salvadoregni sono rimasti a combattere in Iraq.

Per non parlare poi dell'Area di libero scambio delle Americhe (Alca) che, su iniziativa degli Usa, dovrebbe costituire dal prossimo anno la più grande area di mercato del mondo. Le negoziazioni multilaterali non evolvono con la rapidità auspicata; i paesi del sud, con alla testa il Brasile di Lula, vogliono la cancellazione dei dazi sull'esportazione dei loro prodotti agricoli verso il nord. E neppure i più «persuasivi» colloqui bilaterali cui ricorre la Casa bianca per dribblare qualche ostacolo sono riusciti a segnare un deciso passo in avanti. Ci mancava poi la trionfale affermazione del Frente amplio a Montevideo, con Tabarè Vasquez che si unirà a Lula e Kirchner nel rilancio del Mercosur.

Bush non è riuscito neppure a portare a termine (rimediando una sonora figuraccia) il golpe al venezuelano Hugo Chavez, oggi forte più che mai. Mentre nei confronti dell'inossidabile Cuba nulla è cambiato, salvo il lento declino fisiologico di Fidel e le sue cadute. Ci mancava da ultimo la crisi della già insignificante Organizzazione degli stati americani (Osa) con l'uscita di scena del suo segretario generale, l'ex presidente costaricense Miguel Angel Rodriguez, inquisito in patria per malversazione di fondi.

Di una cosa però si è parlato durante la campagna elettorale Usa: del destino di quella moltitudine crescente di disperati immigranti latinos che con le loro rimesse familiari sorreggono le economie di diverse nazioni latinoamericane. Se, attratti dal miraggio della green card, sono disposti ad arruolarsi nei marines e partire per Bagdad bene; altrimenti continueranno ad essere semiclandestini e sfruttati al nero. La precarietà, anche di coloro che risiedono negli states da anni, permarrà. Bush e Kerry non hanno mostrato particolari distinguo al riguardo. Così come Kerry ha voluto far sapere che in caso di elezione continuerà a sostenere il militaresco plan Colombia.

Non c'è dunque sufficiente materia, agli occhi di un latinoamericano medio, per aspettarsi che Kerry possa essere migliore di Bush. Ma la storia recente insegna che il democratico Jimmy Carter tollerò l'avvento dei sandinisti in Nicaragua e forse avrebbe aperto a Cuba in un secondo mandato. Mentre il repubblicano Reagan scatenò per otto anni in centro America la guerra di bassa intensità e invase Grenada così come il suo successore Bush padre invase Panama. Mentre il democratico Clinton ha onorato i trattati Torrijos-Carter per la consegna alla sovranità panamense del canale interoceanico e per la dipartita delle basi Usa da quel paese, ha tolto il segreto di stato sulle nefandezze compiute dalle precedenti amministrazioni negli anni Settanta e si è persino concesso il lusso di recarsi al parlamento guatemalteco per chiedere scusa per le responsabilità del suo paese nel genocidio delle popolazioni maya. Come a dire che repubblicani e democratici non sono proprio la stessa cosa. Anche se si tratta pur sempre del presidente degli Stati uniti d'America.

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