CULTURA

Il mondo a colpo d'occhio

INTERVISTA
CASAPIETRA TIZIANA,ITALIA/BERGAMO

Si è inaugurata alla Gamec di Bergamo una grande retrospettiva dedicata al lavoro di Getulio Alviani, uno dei maggiori protagonisti della ricerca artistica degli anni Sessanta indicata come Arte Programmata e Cinetica. Caratteristica fondamentale del suo pensiero, condiviso con amici come Josef Albers, Max Bill, Kenneth Snelson, Jeffrey Steele, Andreas Christen, i componenti dei gruppi N e T, è l'interesse per un'arte intesa come strumento di ricerca e conoscenza. Nel suo lavoro a essere costantemente ribaditi sono i concetti di sintesi ed essenzialità, valori nettamente in contrapposizione con quelli dominanti nell'epoca attuale che Alviani, con lucidità, si compiace di definire spietatamente l'«epoca del ciarpame e della paccottiglia». Getulio Alviani nel corso degli anni si è interessato non solo all'arte visiva ma anche alla grafica, alla teoria, all'architettura e al design, confrontandosi con il ruolo di curatore, collezionista e, tra il 1981 e il 1985, con quello di direttore del Museo d'arte moderna di Ciudad Bolivar, in Venezuela.

La conversazione che segue è il risultato di una serie di incontri avvenuti nel corso dei mesi di settembre e ottobre, l'ultimo dei quali si è tenuto nella grande casa che Alviani ha realizzato a Milano nel 1999.

Lei non ama essere definito un artista, si vede piuttosto come un ideatore plastico...

Il mio interesse si concentra soprattutto verso la progettazione che, come la conoscenza umana, è basata principalmente sull'occhio grazie al quale apprendiamo circa il 90% delle informazioni. Il procedimento che porta a progettare un ago piuttosto che una porta-aerei segue sempre la stessa prassi e il mio approccio al progetto è quindi sempre lo stesso, sia che si tratti di progettare uno spazio, un evento o una vita. Per questo motivo affronto l'arte pura come l'architettura. L'arte pura è solo più libera, perché ti permette di andare dove vuoi, mentre l'architettura ha bisogno di essere ancorata a una base.

Pur essendo di impianto razionalista e dunque apparentemente fredda, questa casa riesce a essere molto accogliente. Quando progetto, non penso all'accoglienza, ma piuttosto a lasciare più spazi vuoti possibile occultando tutte quelle cose che non serve si vedano. Gli occhi non devono essere contaminati. I miei spazi possono risultare accoglienti perché sono ampi, essenziali, svuotati di tutto ciò che non è necessario. Esattamente il contrario del marasma nel quale viviamo ogni giorno, con milioni e milioni di vetturacce che ostruiscono tutti i canali di passaggio e infettano gli occhi, oltre che naturalmente tutto il nostro corpo. Le città sono esattamente l'opposto di ciò che è questa casa.

Come ha affrontato il progetto della casa?

Era caratterizzata da uno spazio già abitato all'ultimo piano e dalla terrazza soprastante costruibile. Ho chiesto di eliminare tutti i muri e di lasciare solo le colonne necessarie. Poi ho cominciato a relazionarmi con gli elementi rimasti. Quando invece ho dovuto costruire lo spazio partendo da zero - è il caso della terrazza - mi sono sentito più libero di cercare soluzioni inedite. Nella casa non ci sono ricchezze particolari. È la cura impiegata per lavorare i materiali che li rende preziosi. Ogni dettaglio ha la sua importanza, dall'acciaio alle laccature. Per i soffitti di grandi dimensioni, per esempio, sono state usate le fibre di carbonio. La vetrata è stata realizzata a Bregenz in Austria dove c'è un polo di primaria importanza per le ricerche termiche sul vetro. Lì studiano la possibilità di realizzare diaframmi in grado di proteggere dalle escursioni termiche senza l'ausilio di riscaldamenti o condizionatori limitando al massimo il consumo di energia.

Dopo la casa, nel 2000, ha realizzato anche una barca, «My Space».

Le barche che mi era casualmente capitato di visitare avevano sale da pranzo che ricordavano camere ardenti e il più delle volte sembravano dei boudoir ingombri di tessuti trapuntati. Per questo ho preferito realizzarne una a partire dalle mie intuizioni, cercando di conferire allo spazio una certa ampiezza e una grande possibilità di vivibilità (di solito le barche non ne hanno o ne hanno poca). Recentemente ho visitato il porto di Viareggio dove è ancorata «My Space». In mezzo a tutte quelle barche nuovissime, appena calate in acqua, «My Space» sembra appartenente a un mondo a venire. Oggi, se dovessi progettare un'altra barca, anziché guardare alla relazione con la superficie del mare, proverei a concentrarmi sulla ricchezza della profondità degli abissi.

Il suo approccio all'arte ha molte similitudini con la ricerca scientifica.

La ricerca si svolge sempre nello stesso modo. L'universo è formato da sette elementi e tutto dipende da come sono combinati. L'apporto dell'uomo è di accostarli in maniera inedita, in modo da individuare combinazioni più innovative e progressive. La mia attitudine è quindi di ordine scientifico poiché nel mio lavoro cerco di ampliare il campo del percettibile; parto dagli occhi per andare direttamente al cervello.

Può fare degli esempi di sperimentazione accostata al suo lavoro?

Negli anni `60, per esempio, insieme a Germana Marucelli ho realizzato, quasi per gioco, degli esperimenti nell'ambito della moda. Germana ha fatto stampare un mio disegno su tessuti di diverso tipo constatando che alcuni ne esaltavano la staticità, altri il movimento. Oggi se mi richiedessero di progettare altri indumenti cercherei di individuare la possibilità di preservare il corpo dalle oscillazioni termiche senza l'ausilio degli abiti. Il nudo rappresentato nel lavoro «Grado Zero» o «Bat(h)ape» che ho realizzato negli anni `60 è il punto di partenza di questo studio. In ambito architettonico, invece, ho pensato allo spazio pneumatico dilatabile e restringibile che, sempre negli anni `60, ho teorizzato con un «Manifesto»; si tratta di uno spazio dinamico che scompare quando non serve e si ricompone quando serve. Se serve a due persone occuperà lo spazio necessario a due persone, se serve a ottanta quello necessario a ottanta. A me interessa unicamente che il nostro cervello sia sempre alimentato e faccia, attraverso gli occhi, scattare l'innovazione.

La sua prima mostra è stata fatta a Lubiana all'inizio degli anni Sessanta.

E' avvenuta fortuitamente. Ricordo che il direttore della galleria moderna di Lubiana, Zoran Krzisnik, vedendo alcuni miei lavori mi disse che sarebbe stato bello farne una mostra. Si trattava di sperimentazioni sui materiali, lui mi chiese di realizzarne delle versioni un po' più grandi. Due anni dopo abbiamo inaugurato questa prima esposizione a Lubiana e ricordo di essere rimasto molto stupito dalla facilità con cui, in quei luoghi, si stabilivano contatti immediati con persone che si incontravano solo perché mosse da un interesse culturale. Là non c'era da speculare o da divertirsi, tanto meno si trattava di una città status symbol come Parigi o Londra.

Come spiega questa sua predilezione per l'est europeo?

Ho vissuto la mia infanzia in Friuli e sono sempre stato molto attratto dai paesi vicini come la Slovenia, la Jugoslavia di allora. Lo zio che mi ha allevato era austriaco e così ho maturato una propensione verso la Mitteleuropa che mi attraeva più dello sfavillare delle luci di Parigi. Ho sempre pensato che la Mitteleuropa fosse il fulcro della cultura che è nata proprio nelle zone vicine a quelle in cui sono cresciuto, mi riferisco alla valle del Danubio, che va dalla Germania fino agli stati dell'Europa orientale. Quegli stati mi attraevano anche perché era molto difficile arrivarci, passare il confine per andare a Lubiana da Udine (dove vivevo), era un'impresa. E soprattutto mi piaceva instaurare delle relazioni con chi stava lavorando con intenti simili ai miei nella Jugoslavia di allora. Come, per esempio nel campo dell'arte, Ivan Picélj, Julije Knifer, Vjenceslav Richter. Da bambini pensavamo che le persone al di là della barriera fossero persino fisicamente diverse. Con i contatti di lavoro ho finalmente capito che quella barriera fatta di timbri sui passaporti e sbarre di ferro non esisteva affatto, almeno non sul piano intellettuale.

Cosa è cambiato in quei paesi da allora?

Non esiste più nulla di quello che ho vissuto io. E' arrivato lo strapotere del modello occidentale e tutto è stato snaturato. Ho assistito al cambiamento totale, avvenuto nel giro di quattro o cinque anni, della Repubblica Ceca, della Repubblica Slovacca, della Polonia. Così come da noi, anche lì l'economia del disastro ha scardinato i cervelli. Tutto il sistema è basato sul commercio, l'economia, la strategia, dove l'abilità più ambita e ammirata è la scaltrezza e la capacità di estorcere denaro. Questa è la grande guerra del denaro. Anche il mondo della cultura funziona allo stesso modo; recentemente alcuni architetti mi hanno confidato di dedicare all'architettura il 5 per cento del loro tempo e il resto in pubbliche relazioni.

Qual era la sua visione del futuro negli anni Sessanta?

Quando ho iniziato a lavorare - era la fine degli anni Cinquanta - la tecnologia cominciava a mostrare tutte le sue potenzialità. Noi che credevamo nella sollecitazione del cervello attraverso la possibilità di allargare il campo del percettibile, vedevamo nella tecnologia una grande risorsa. Oggi abbiamo una tecnologia avanzatissima che ci permette di comunicare in tempo reale con tutto il mondo, ma che viene sotto-utilizzata per scopi infimi, manipolata per avallare scelte e operazioni catastrofiche. E non posso non pensare a quanto sta accadendo oggi e che sta stravolgendo il mondo. Il feticismo delle immagini ha eroso la capacità critica, che è fondamentale per la crescita dell'uomo. Max Bill diceva che la vera forza di un artefice è la sua forza critica, che deve essere indirizzata prima di tutto verso se stesso. Una forza che deriva dell'acutizzazione dell'occhio e del cervello e che nasce dal rispetto per le cose, tutte le cose del mondo.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it