VISIONI

Il senegalese d'Egitto

INTERVISTA
LORRAI MARCELLO,MILANO

«Quando sono sul palco con i musicisti egiziani mi rendo conto che la musica può cambiare molte cose e aprire tante porte. E penso che la religione musulmana, con i tempi che corrono, con le interpretazioni che se ne danno, ha bisogno di utilizzare la musica, il cinema, le nuove tecnologie, per farsi conoscere meglio». A Milano per presentare il suo Egypt, che, ormai in circolazione come disco a livello internazionale, sta in queste settimane portando dal vivo in giro per l'Europa (questa sera a Torino, Teatro Regio, venerdì a Milano, Teatro dal Verme), Youssou N'Dour ha davanti a sé, oltre al microfono, anche una tazzina: «No, non faccio il ramadan quando sono in tournée. Non potrei mangiare fino alle sei del pomeriggio, un problema dovendo poi cantare. Ma la maggior parte dell'orchestra fa il ramadan, perché loro suonano, non devono cantare...». L'orchestra, integrata da alcuni musicisti senegalesi, è quella a base di archi e strumenti tradizionali egiziani, di Fathy Salama, che ha contribuito a dare corpo all'inedita idea della star senegalese, un'idea che risale già a diversi ani fa: «Lo spunto per questo lavoro mi è venuto nel `98, proprio durante il ramadan: nel momento della giornata in cui si rompe il digiuno spesso si discute molto di religione. E ho avuto il desiderio di creare della musica che riguardasse appunto la religione. Ho ripensato alla mia infanzia: mio padre aveva una grossa radio, e alla sera captava le stazioni egiziane. Così mi succedeva di ascoltare molto Oum Kalsoum, che mi piaceva tantissimo. E così ho pensato che avrei voluto essere accompagnato da un'orchestra del tipo delle sue. In principio la musica non doveva nemmeno sfociare in un album, si trattava di un progetto personale. Poi le persone che erano al corrente mi hanno detto che era assurdo, che questa musica dovevo condividerla. Mi hanno convinto, ma ci sono stati i tragici avvenimenti dell'11 settembre, e ho voluto evitare che il disco fosse preso dentro le polemiche. Ho preferito aspettare».

Cosa comunica «Egypt» della religione?

Parla dell'Islam in Senegal, dove siamo al 95 % musulmani, ma ci sono anche altre confessioni. La religione svolge un ruolo molto importante per la stabilità e nel sociale. E poi in Senegal ci sono le elezioni delle Miss, ci sono i nightclub, abbiamo avuto una donna a capo del governo. Ho voluto dare una rappresentazione di come noi viviamo l'Islam e la laicità. L'Islam in Senegal è come l'Islam dappertutto, la differenza sta in una forte cultura locale e anche nella storia del paese. La colonizzazione francese non voleva che l'Islam fosse la religione dominante. La mia guida spirituale, Cheikh Amadou Bamba (originatore della confraternita Mourid, ndr) è stato deportato e perseguitato, perché abbandonasse la predicazione. Ma alla fine ha vinto e ha creato la città santa di Touba.

I testi contengono riferimenti al Corano?

In effetti no, non ho voluto prendere dal libro sacro, ho cercato invece di immaginare e cantare, in wolof, delle storie che circolano tradizionalmente e che hanno per esempio per protagonista Cheikh Amadou Bamba.

In Senegal l'album è uscito già otto mesi fa: come è stato accolto?

All'inizio sorpresa, per la gente. Non ha avuto da subito un successo sui media, non veniva mandato alla radio, è qualcosa di diverso, in pratica è stato un po' una delusione. Ma adesso invece funziona. Perché c'è stato il tempo di ascoltarlo, e il disco poi è uscito a livello internazionale e la reazione all'estero probabilmente ha avuto un'influenza. E così ora sta andando molto bene. Stiamo pensando a un grande concerto a Dakar e anche a uno vicino alle piramidi. Però c'è stato qualche problema... Quando ho fatto il disco avevo talmente paura di urtare i radicali della religione, perché ce ne sono dappertutto, anche se sono una minoranza. Vado a Touba, dove ho anche il mio marabutto, a girare un clip. Avevamo le cuffie, e nessuno poteva sentire la musica, e il disco non era ancora uscito. Solo macchine da presa e luci. Il giorno dopo la stampa scrive che Youssou N'Dour è andato a Touba a fare dell'entertainement: un bel problema, un problema nazionale... Poi in televisione ho spiegato che non si trattava del tipico Youssou N'Dour, era un'altra cosa.

È un'esperienza destinata a restare isolata, musicalmente?

Lo pensavo come una parentesi, ma più ci entro dentro e più cose apre. È un album panafricano, vedo l'Africa come una cosa sola: da vent'anni ho realizzato incontri con musiche dell'America, dell'Europa, dell'Asia, ma non ne avevo fatti con altre musiche africane.

C'è la guerra e le cose non vanno molto meglio che dopo l'11 settembre: come mai si è deciso per l'uscita del disco, allora?

Sì, il mondo va male. Ma Egypt è un progetto culturale, non deve essere ostaggio di una situazione creata da estremisti e politici stupidi.

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