CARTA BIANCA

Le nostre ragioni ignorate

PACIFISMO
CASTELLINA LUCIANA,ITALIA

Non mi piace polemizzare con Adriano Sofri. L'ho fatto spesso in passato, ora io sono libera, lui è in prigione, e mi sembra che una condizione così abnorme imponga a chi è privilegiato di stare zitta.Vorrei uscisse dal carcere al più presto, non foss'altro che per poter tornare a litigare con lui a tutto campo. Ma poiché Adriano vive con così grande coraggio e dignità l'ingiustizia che l'ha condannato, e, rifiutando di piegarsi, ha acquistato così tanta forza da partecipare ai nostri dibattiti come se fosse libero, mi sembrerebbe quasi offensivo rinunciare a farlo da subito. Mi riferisco all'articolo «La grande illusione del pacifismo» apparso due giorni fa su Repubblica, in cui più che del movimento attuale si parla di quello che giustamente Sofri definisce «suo antenato», quello dell'inizio degli anni '80, in cui mi è accaduto di essere particolarmente impegnata, a livello italiano ed europeo. (Anche a livello del Comune di Comiso, sul cui territorio fummo all'epoca pesantemente picchiati dai poliziotti e dai carabinieri, per ordine di Bettino Craxi». L'articolo prende le mosse dall'interrogativo sul che fare a proposito del programma nucleare dell'Iran, avanzando l'inquietante ipotesi, come non bastasse il disastro dell'Iraq, di estendere l'attacco anche a quel paese. Brutta o bella che fosse - dice Sofri - occorrerebbe forse, per risolvere il problema, un'impresa analoga a quella operata alla fine degli anni `80 da Israele che mandò i suoi aerei a bombardare il reattore nucleare iracheno alla periferia di Baghdad, così impedendo a Saddam di dotarsi dell'atomica già all'epoca. Forse è per questo che il povero Bush non ha ora trovato arsenali pericolosi: avevano già provveduto gli israeliani, con una loro guerra ancor più preventiva. I quali israeliani, naturalmente, sono, per parte loro, da sempre esentati dal rispettare il Trattato di non proliferazione ( e chi ha informato sui loro arsenali, Mordechai Vanunu, è appena uscito da 18 anni di carcere). Come del resto gli Stati uniti, che in nome di un esemplare principio di uguaglianza, continuano a esigere che gli altri non posseggano missili e bombe, nonché armi chimiche, ma si sentono esentati dall'applicare le medesime norme a sé stessi.

Il cuore delle tesi è comunque ancora una volta la rivendicazione dell'estrema utilità dei missili Cruise e Pershing, perché è la loro installazione che avrebbe costretto i sovietici al negoziato di Ginevra e quindi ad accettare il disarmo; avrebbe evitato all'Europa occidentale il rischio di essere asservita a Mosca; avrebbe in seguito portato alla caduta del muro. Il movimento pacifista l'avrebbe osteggiata, nel migliore dei casi per stupidità, in realtà perché, in particolare in Italia, vittima dell'egemonia sovietica.

Ora si dà il caso che quando si sviluppa quel movimento pacifista si sia già in piena era Reagan, il quale ha progettato un pesante riarmo rilanciando una freddissima guerra fredda, indotta dai corposi interessi dell'industria bellica e soprattutto carica di significati ideologici e di slanci da Crociata. Fu allora che la Casa Bianca invento «l'Impero del Mal», poi resuscitato da Bush.

Mosca fu anch'essa colpevole. Non tanto perché anni prima avesse collocato i suoi SS 20 come risposta all'asimmetria geografica fra territorio americano e territorio sovietico (quest'ultimo facile bersaglio delle armi atomiche a differenza di quello statunitense). Fu colpevole - e per questo il movimento pacifista europeo la criticò aspramente - perché l'ossificata leadership brezneviana aveva scelto per difendersi - in un'ottica speculare - di ricorrere agli SS 20 anziché a un'iniziativa politica capace di ricostruire simpatia e consenso nelle società civili dell'Europa centro orientale. E questo attraverso una politica di democratizzazione reale che avrebbe assai più efficacemente garantito la sicurezza dei paesi del patto di Varsavia. I rapporti, strettissimi e per anni continui, che intrattenemmo con i dissidenti dell' est - lo ricorda anche Adriano - furono tesi a convincerli (e con una parte di loro ci riuscimmo) che non era con la guerra che avrebbero ritrovato la libertà, ma solo attraverso un generale e mutuo disarmo che avrebbe allentato le tensioni e indebolito le tentazioni di arroccamento.

Questa ipotesi non fu del resto del solo pacifismo italiano ma di tutto quello europeo, allora unito dal coordinamento della END (European Nuclear Desarmement), nato in Gran Bretagna per iniziativa di un gruppo di prestigiosi intellettuali della sinistra laburista, il cui slogan - «Un'Europa senza missili dall'Atlantico agli Urali» - fu fatto proprio da autorevoli esponenti della socialdemocrazia europea: oltre a Michel Foot, allora leader del partito laburista, Olaf Palme, Egon Bahr, Andrea Papandreu, i dirigenti socialisti olandesi, belgi, spagnoli.

Anche l'ipotesi del disarmo unilaterale, la posizione più «estrema» del movimento, non fu affatto una ingenuità del pacifismo, ma una tesi accettata da una buona parte della sinistra europea, convinta che un primo passo in questa direzione, da una parte o dall'altra, avrebbe indotto un processo di reciproco disarmo che avrebbe a sua volta accelerato la democratizzazione all'est. Ricordo ancora la tesi di Egon Bahr, che venne a esporci a una delle Convenzioni europee del movimento, secondo cui non si devono fare «patti contro il nemico», ma «patti con il nemico», un ordine di riflessione molto distante da quello che si svolgeva in Italia. E ricordo il piano, elaborato da Spd da un lato e Sed (il partito comunista della repubblica democratica tedesca) dall'altro per una fascia disarmata che abbracciasse le due parti della Germania.

A esser diverso, rispetto alla sinistra europea, fu, insomma, il Psi di Craxi (assieme a quello francese investito dall'onda dei nouveaux philosophes). E più prudente fu anche il Pci, nonostante le fermissime prese di posizione di Enrico Berlinguer che però si limitò a chiedere la sospensione dell'installazione dei missili. Il pacifismo, in quegli anni, aveva trovato i suoi punti di riferimento più in Germania e Gran Bretagna che in Italia.

Perdemmo. Ma con noi perse anche l'Europa: se il sistema socialista, già peraltro moribondo, anziché esser spinto dal riarmo occidentale e dalle inaccettabili pretese avanzate dagli americani nel corso dei negoziati di Ginevra, a un nefasto irrigidimento e a uno sforzo militare che non era ormai in grado di sostenere, fosse stato indotto, grazie alla distensione, a una ragionevole trasformazione, le cose avrebbero potuto andare assai meglio per tutti. Lo capì bene Gorbachov, che, convinto che il riarmo bloccava la sua perestroika, propose la «soluzione zero» - la rimozione da ambo le parti dei missili a corta e lunga gittata - e poi la «doppia soluzione zero» (una rimozione di tutte le armi ). Purtroppo restò inascoltato in occidente e ormai era forse troppo tardi, la situazione ormai compromessa. Ma se fosse stata scelta la strada del disarmo avremmo forse avuto un diverso sviluppo della storia in quella parte del mondo: non un disfacimento disastroso e lo sviluppo del più selvaggio capitalismo con tutte le drammatiche conseguenze che conosciamo, e invece un rafforzamento del «modello europeo», e con ciò, dell'autonomia del continente. Proprio questo il movimento pacifista lucidamente intuiva, a differenza dei piccoli strateghi impegnati nella meschina contabilità dei missili.



Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it