Uscito già da qualche mese, vale comunque la pena di segnalare Alla fine della notte, raccolta di cinque racconti del bolognese Stefano Fantelli (Mobydick, pp. 86, 9). Vale la pena perché in questo scorcio d'estate che si spegne, i racconti di Fantelli potranno far sperimentare qualche genuino brivido non frutto di condizionamenti aerei. Protagoniste delle sue storie donne sempre in qualche modo mostruose, nel senso etimologico della parola, e in molti casi anche in quello metaforico. Serial killer avide lettrici, piuttosto che fate nel senso anglosassone, bambine troppo cresciute desiderose di celebrità piuttosto che attrici in cerca del prossimo amore. A raccontarle invece ci sono di fronte a loro (quasi sempre) maschi perennemente interdetti dalla loro luminosa oscurità che come falene vanno a spiaccicarsi sulla luce che li attrae irresistibilmente.
Tutto ciò sullo sfondo di una Bologna sempre citata ma mai descritta. Un po' perché non è necessario descriverla fungendo da mera quinta, un po' perché vissuta sempre come la vive chi ci abita: senza vedere quanto di «turistico» potrebbe esserci da proporre. Una Bologna estiva ma non solare. O meglio: solare come le pellicole horror di Pupi Avati, in cui la campagna romagnola, apparentemente distante anni luce dal fantastico e ancor di più dall'oscuro horror si rivela invece malsano ricettacolo del male. A testimoniare che il male non necessita di chiese più o meno sconsacrate, di lugubri lande nordiche, di oscure selve americane, ma esso si può trovare sepolto anche nelle case intrise d'umidità della foce padana, piuttosto che nelle strade di una città evidentemente non abbastanza dotta.
Esattamente come nelle strade californiane di Pulp Fiction anche nella Bologna di Fantelli s'aggirano meticolosi «pulitori» dei macelli lasciati da assassini prezzolati. E non sono in essa più improbabili che là, forse anche perché l'onnipresente televisione ha azzerato usi e consumi ponendo al di sopra di tutti i desideri l'attimo warholiano di celebrità.
Se da un lato la scrittura di Fantelli non ha nulla d'eccezionale, essa in compenso è pulita e riesce a rendere adeguatamente un immaginario che già in questa sua prima prova - Alla fine della notte è infatti il primo suo volume pubblicato, anche se suoi racconti sono apparsi in varie antologie, sia cartacee che elettroniche - si dimostra forte e personale. D'altra parte Fantelli, trentaduenne, ha una biografia degna dei più noti autori non mainstream d'oltreoceano: assistente sociale, pugile, lucidatore di bare, barman, progettista elettronico, segretario d'albergo, scaricatore d'acqua minerale. Tutta una lunga teoria, più o meno colorita, di mestieri che ricorda il curriculum dei più famosi scrittori di fantascienza del periodo d'oro. Unita ovviamente alla passione per la lettura dozzinale e di consumo, che si sente nella sua scrittura anche in questa prima ancora acerba fase.
Si tratta dunque di un autore da tenere sott'occhio in attesa che non si limiti ad osservare le sue fate per poi lasciarle al loro destino, ma che si decida ad acchiapparne qualcuna per le ali e a farsi narrare qualcosa di più corposo per i nostri denti affamati.