CULTURA

Un pensiero in ordine sparso

SIMONE ANNA,FRANCIA

Sono passati vent'anni dalla scomparsa di Michel Foucault. Come se non si volesse lasciare nulla di intentato, tutti coloro i quali lo hanno amato, tradotto, insegnato, interpretato - seppur con sfumature e tonalità differenti - non si esimono dalla possibilità di ri-pensarlo in convegni, volumi collettanei, numeri monografici di riviste. Ma Michel Foucault e la sua opera hanno davvero bisogno di essere celebrati o commemorati? E' sufficiente un anniversario di morte per creare la renaissance di un autore o la sua celebrazione? Gli autori rinascono se vengono «dimenticati» e si celebrano quando non hanno lasciato segni, resti, tracce da cui ripartire per costruire nuove cartografie. Foucault, a vent'anni dalla sua morte, non è né rinato, né tantomeno può essere celebrato. Può, però, essere riletto e interpretato a partire dalla nostra condizione attuale perché molti dei suoi lettori, al di là delle congiunture storico-sociali e delle mode accademiche, non hanno mai smesso di interrogarlo e i segni della sua biografia intellettuale possono essere trovati un po' ovunque. E ancora: un uomo come Michel Foucault che si è sempre mosso tra la critica del «sapere-potere», la genealogia delle tecniche di potere, lo studio dei processi di soggettivazione, le «tecnologie del sé», le carceri, la follia, gli uomini «infami», può essere ridotto ad «essere» solo il paladino di una tra le tante «scuole» accademiche di turno?

La risposta è ovviamente negativa e qui la negazione assume il valore del suo rovescio: affermare Foucault, oggi, vuol dire affermare il suo lavoro «disperso e mutevole», vuol dire tracciare delle linee a partire dai segni molteplici e plurali disseminati dalla sua opera. Non una «linea», quindi, ma più linee per tracciare un'ontologia dell'attualità, esattamente come cerca di fare l'ultimo numero della rivista «Millepiani» dedicata al filosofo francese (Moltiplicare Foucault. Vent'anni dopo, a cura di Ottavio Marzocca, pp. 213, € 15).

Michel Foucault, in questo volume, sembra avere le sembianze di un caleidoscopio, come se il metodo dell'archeologia prima e della genealogia poi fossero solo pensabili come strumenti irripetibili di un'arte del bricoler «per tutti e per nessuno», come sottolinea nell'introduzione Marzocca.

Ma quali sono le linee tracciate nel volume? Tra gli altri si potrebbe partire dal saggio di Roberto Nigro su «Verità e soggettività». L'autore compie una breve genealogia dei tre momenti topici del lavoro di Foucault: lo studio della formazione delle scienze umane negli anni `60 (l'archeologia del sapere e la decostruzione del concetto di episteme fino ad allora inteso come la sommatoria del sapere per eccellenza); gli anni `70 e gli studi sulle forme di sapere-potere, sulla società disciplinare, sui dispositivi custodialistici, e sui suoi attori identificati dalla psichiatria, dalla medicina legale e dalla scienza criminale; gli anni `80 e gli studi sul soggetto o meglio sui processi di soggettivazione. Ed è quest'ultimo momento foucaultiano ad interessare Nigro: se non esiste una verità data da un fondamento epistemologico non può neppure esistere il soggetto par excellence. «Il soggetto non è esterno al suo campo di applicazione non soltanto perché lo produce, ma perché nel produrlo si produce esso stesso». Ed è da questa produzione incessante fatta di posizionamenti, relazioni ed interstizi, vuoti e mancanze - che non hanno bisogno di essere colmati dalla coscienza (intesa qui come dispositivo di potere) - che si dipanano i processi di soggettivazione.

Sulla scienza psichiatrica, invece, sui sistemi custodialistici di tipo manicomale e sulla ricezione italiana della Storia della follia, da parte dei movimenti di base anti-istituzionali della psichiatria stessa, si interroga Pierangelo Di Vittorio. Anche lui, pur tenendo insieme il piano teorico con il piano pratico delle lotte specifiche non perde l'occasione di sottolineare quanto, di fatto, i processi di identificazione sfuggono continuamente a se stessi e quindi le soggettività in lotta esistono solo nella misura in cui riescono a criticarsi continuamente dandosi come polivalenti, molteplici. Decisamente più spostati verso una lettura negriana dei testi foucaultiani e, quindi, più prossimi a definire la soggettività rivoluzionaria sono gli articoli di Andrea Russo e Marcello Tarì.

Il primo, ponendo l'accento sulla polemica tra Foucault e il marxismo francese che considerò gli studi sulla follia come «politicamente senza importanza ed epistemologicamente senza dignità», individua nelle lotte delle minoranze una vera e propria rivoluzione politica. Russo legge soprattutto il Foucault militante che nel `71 fonda il Gip (Group information sur le prisons) e, appoggiandosi anche a Deleuze, Guattari, al Negri di Impero, riesce a tracciare una genealogia delle lotte dal `68 sino a oggi. Le lotte delle minoranze - per l'autore - proprio perché assolutamente legate ai movimenti e all'atto della presa di parola in prima persona si pongono come lo specchio critico dei partiti andando ad aprire una serie di falle all'interno del loro stesso sapere-potere. Marcello Tarì, invece, osa di più. Secondo lui esisterebbe una comunità, un «noi» rivoluzionario e moltitudinario in grado di definirsi chiaramente all'interno di un «attuale» che non smette mai di sovvertire l'ordine costituito. Tarì, in sintesi, sembra leggere Foucault solo attraverso il leninismo di Negri degli anni `70.

Da sottolineare, infine, gli interventi di Tiziana Villani e di Ottavio Marzocca per la loro originalità e, anche, per l'apertura felice che danno ad alcune mappe poco tentate dal filosofo francese.

Marzocca ripercorre tutti gli studi foucaultiani sulla sovranità, sul razzismo di stato e sul potere come guerra affrontati durante il corso Bisogna difendere la società dando ulteriore spessore ad alcuni saggi foucaultiani fatti pubblicare sotto la sua direzione e dedicati al liberalismo, all'etica, alla «ragion di Stato» (Biopolitica e liberalismo, Medusa, 2001). Villani, invece, proprio a partire dal concetto di etica in Foucault tenta di tracciare una linea tesa a pensare un divenire donna radicalmente altro dalla logica emancipazionista e da una lettura essenzialista di alcune teoriche femministe. Una donna che riesce ad attraversare tutti i mutamenti senza entrare nel gioco masochistico della colpa perché, effettivamente, nella relazione d'amore, nessun masochismo può prodursi senza un potere assoggettante e sadico.

Foucault, insomma, a vent'anni dalla sua morte continua a trasmettere, con le sue aperture teoriche, con le sue analisi lucide e nitide, la possibilità del vivere al plurale senza, per questo, smettere di lottare. E quindi: Moltiplicare Foucault.

La rubrica Politica o quasi di Ida Dominijanni è rinviata alla prossima settimana

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it