STORIE

Il Vecchio rinasce a Mostar

SIMBOLI DISTRUTTI E RICOSTRUITI
SCOTTI GIACOMO,BOSNIA/MOSTAR

Mostar, undici anni dopo, torna ad essere simbolicamente unita. Era il 9 novembre 1993 quando le cannonate dell'artiglieria croata che sparavano dalla zona occidentale provocarono il crollo del Ponte Vecchio, simbolo della città. Nelle acque rapide e cristalline del fiume Neretva, il Narentus degli antichi romani, scomparvero le pietre di quel gioiello dell'architettura ottomana che per la sua valenza storico-artistica era stato posto sotto la protezione dell'Unesco. A costruirlo nel 1566, per ordine del sultano Solimano il Magnifico, era stato l'architetto Hayrrudin. Dalla parola slava per ponte, «most», prese nome la città sorta sulle sue opposte sponde. Il ponte a schiena d'asino, simbolo del legame fra Oriente e Occidente, fu visto però dai nazionalisti croati come negazione della loro politica di odio verso i musulmani che abitavano ed abitano sul lato del fiume opposto a quello croato, nei densi quartieri di case abbarbicate sulle pendici che scendono dolcemente verso la sponda orientale.

Alla fine della guerra fratricida, nel 1995, la comunità internazionale pose tra gli obiettivi principali della ricostruzione della Bosnia-Erzegovina devastata, la riedificazione dello «Stari Most», il Ponte Vecchio di Mostar. Alla realizzazione del progetto hanno contribuito Turchia (fu il primo paese a rispondere all'appello della comunità internazionale) Unesco, Banca mondiale, Italia, Francia, Lussemburgo, Olanda e, con una donazione molto modesta, Croazia. Ora l'opera è compiuta, il ponte della riunificazione, replica di quello distrutto, verrà solennemente inaugurato domani, 23 luglio.

La riedificazione di questo «monumento alla pace» cominciò sei anni fa con materiali e tecniche originali, con le poche pietre recuperate dal fiume ed altre estratte dalle antiche cave e lavorate da scalpellini che hanno dovuto imparare le tecniche antiche. Il costo della ricostruzione del complesso monumentale, delle seicentesche torri laterali dette Halèbija e Tara e degli edifici attigui, ammonta a 18 milioni di euro. L'Italia è al primo posto per l'entità della donazione, oltre tre milioni.

Presenti a Mostar anche con altri progetti di sostegno alla ricostruzione della convivenza, delle istituzioni sociali e culturali della città, gli italiani sono molto numerosi, i più numerosi fra i cittadini dell'Europa. Saranno i più numerosi, dopo i bosniaci, anche all'inaugurazione. Arrivano con la Carovana per Mostar dell'Associazione per la pace, con una colonna di pullman del Centro di volontariato internazionale per la cooperazione allo sviluppo e con altre carovane. Con le sigle più svariate, da decine di città: Ics (Consorzio italiano di solidarietà), Cvcs, Cevi, Rete Pea, Terre offese, Osservatorio Balcani, associazioni varie.

Ci saranno ovviamente ministri e uomini di stato di una dozzina di paesi; accanto a quella della Bosnia-Erzegovina sventoleranno le bandiere di tutti i paesi che hanno aiutato e continuano ad aiutare la Bosnia a rimettersi in piedi. Però a fare la folla saranno le donne e gli uomini di buona volontà, pacifisti, primi fra tutti coloro che durante la guerra, affrontando alti pericoli e mettendo a repentaglio la propria vita (proprio a Mostar caddero tre giornalisti italiani di Trieste; tre pacifisti furono uccisi nei pressi di Zavidovici mentre portavano aiuti umanitari a quelle popolazioni, un altro ancora cadde a Sarajevo su un ponte della Miljacka) portarono ai bosniaci di ogni etnia la solidarietà del popolo italiano. Chi scrive queste righe ne ha accompagnati e conosciuti a centinaia e ancora oggi li ricorda per nome.

I discorsi degli statisti e degli uomini politici saranno importanti, non c'è dubbio. La presenza dei grossi personaggi della politica europea sarà importante. Ma secondo me sarà ancora più importante la presenza di quelli che il ponte l'hanno costruito prima ancora che le sue pietre fossero ripescate dai flutti del rapido fiume: i volontari della solidarietà e della pace.

Anche in Croazia, dove sono pochissimi gli uomini politici ad aver chiesto scusa ai bosniaci per le cannonate del novembre `93, c'è stato qualcuno che ha portato un obolo alla ricostruzione dei valori che il Ponte Vecchio di Mostar ha simboleggiato per secoli e da domani tornerà a rappresentare. Il cantautore zagabrese Gibonni, al secolo Zlatan Stipisic, ha composto per il ponte la canzone «Oprosti!» - perdonami. Una canzone che sarà eseguita per la prima volta durante l'inaugurazione del ponte da cantanti bosniaci, un coro di musulmani, serbi e croati, sotto la direzione di Sulejman Kupusovic. Forse Gibonni, ambasciatore di buona volontà dell'Unicef, verrà personalmente a Mostar per unirsi al coro.

La presenza a Mostar di milleseicento pacifisti italiani, in gran parte giovani, per l'inaugurazione del ponte aggiunge altra luce al chiarore che contrassegna abitualmente le estati nella terra attraversata dalla Neretva. E tuttavia non mancano le ombre. Come quella gettata - non per la sua nobile essenza, ma per il simbolo che i nazionalisti hanno voluto dargli - dall'altissimo nuovo campanile della minuscola chiesa francescana. E' il più alto che esista nell'ex Jugoslavia, molto più alto del campanile originario, anch'esso distrutto da cannonate nel 1992. Il nuovo si innalza a 107 metri di altezza, supera addirittura il campanile della più grande chiesa cattolica del Balcani, la cattedrale di Zagabria. E'stato costruito a mo' di sfida, di provocazione, per dominare il paesaggio della città. E non basta: i croati mostarini, sempre per sfida e far dispetto ai musulmani, hanno costruito un'enorme croce di marmo bianco, alta trentatre metri, che si staglia nel cielo ancora più in alto del campanile, perché radicata sulla più alta collina della città, il monte Hum, che dovrebbe simboleggiare la Mostar croato-cattolica della parte occidentale. Troppi simboli, troppe grandezze, troppe ombre. Tutte proiettate sullo Stari Most che invece appartiene a tutti i mostarini, allacciando le sponde del comune fiume. Un ponte che, nuovissimo, continuerà ad essere il Vecchio carissimo ponte, il vero, unico simbolo della Città nel suo insieme. Un viaggiatore turco del XVII secolo così scrisse nel suo diario alla vista del bianco ponte alto 21 metri sul fiume: «Ecco, si sappia che io, misero e miserabile servo del Signore, ho visto finora ed ho attraversato sedici imperi, ma un ponte così alto non l'avevo visto mai prima d'ora. E' slanciato dall'una all'altra roccia, e le rocce si levano fino cielo...».



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