Un nuovo partito di sinistra in Germania? Le liste «100% altromondiste» che in Francia hanno messo fuori il naso il 13 giugno, diventeranno davvero anche loro, come hanno annunciato, una vera e generalizzata alternativa elettorale? Un po' dovunque pezzi di movimento tengono convegni sul tema «nuovo partito»: perché il voto per le elezioni europee ha portato allo scoperto, in modo ancor più evidente, la crisi di rappresentanza politica di un settore della società civile che, sia pur in modi e in dimensioni assai diverse da paese a paese, in questi ultimi due anni si è mobilitata sui temi della guerra, della globalizzazione, dello stato sociale e non ha trovato riscontro nei tradizionali partiti della sinistra. Salvo in Italia, dove Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti italiani hanno intercettato una parte del malcontento nei confronti del «triciclo», ma anche qui hanno lasciato sul terreno non pochi orfani sempre più dubbiosi. Qui da noi alla fine quasi tutti hanno votato, perché questa è la tradizione (o l'abitudine ) italiana, altrove, invece, i tassi di astensionismo sono come è noto risultati altissimi: 56 % la media europea. E non solo perché il Parlamento di Strasburgo non gli interessava. A non mobilitarli sono stati i partiti in gara. In Germania il progetto si presenta più corposo che altrove. Se ne era già parlato prima delle elezioni in una grande assemblea convocata a Berlino da Attac e dalla sinistra sindacale, cui avevano partecipato persino il presidente della potentissima IG Metal, Jan Peters, e del settore dei servizi, la grande «Ver.Di», Bsirske. Ma il titolo del convegno - «Può andare anche altrimenti - Prospettive per una diversa politica» - lasciava ancora incerto l'eventuale sbocco dell'iniziativa. Ora - sebbene il gruppo che ha rotto gli indugi dando vita, il 4 luglio scorso, a una vera e propria nuova formazione, non abbia ancora precisato se intende presentare proprie liste alle prossime elezioni politiche del 2006 - essa ha comunque assunto un nome che non lascia molti dubbi sulle intenzioni: «alternativa elettorale per il lavoro e la giustizia sociale». Che potrebbe cercare la prima prova addirittura prima, in occasione delle elezioni - primavera 2005 - per il più grande dei Laender, il Nord Rhenania-Westfalia.
Alla testa della nuova organizzazione quattro fra i più radicalizzati promotori dell'assemblea del maggio scorso: Klaus Ernst e Thomas Haendel, ambedue funzionari della IG Metal ed ex Spd; Sabine Loesing, militante di Attac; Axel Troost, economista fra i più critici dell'Agenda 2010 del governo rosso-verde. Aderenti: 70 gruppi e associazioni di base che gravitano nell'area di sinistra, socialdemocratici, verdi e anche PDS scontenti. Nei prossimi mesi verranno creati comitati regionali in ciascuno dei 16 stati della Federazione tedesca e per ora si discute su due diverse risoluzioni programmatiche (sin dall'inizio l'unità è stata difficile).
La vicenda in Germania si colloca nel contesto di un conflitto sindacale che da anni non era stato così acuto. Non solo per via della politica governativa di forte riduzione delle prestazioni sociali, ma di una aggressiva offensiva del padronato che lamenta la perdita di competitività dell'industria tedesca, più esposta delle altre europee perché più dipendente dalle esportazioni. Nel paese che era stato avanguardia nella rivendicazione delle 35 ore si chiede ora di lavorarne 40 ed alcuni - il presidente della DIW (il centro per la congiuntura) - hanno persino chiesto una settimana di 50 come sola soluzione al declino tedesco. Fra minacce di scioperi prolungati, il ripetersi di manifestazioni di protesta, il rapporto fra la leadership della SPD e quella sindacale, da sempre strutturalmente legata a quella del partito, si è andato rapidamente deteriorando. E' dell'altro giorno uno scambio di battute pesantissimo in cui Schroeder, noto per la sua abitudine a ricorrere, quando si arrabbia, a espressioni da carrettiere, ha in buona sostanza accusato i dirigenti sindacali di «non sapere neanche quello che dicono». Non ce l'aveva solo con i promotori di «Alternativa elettorale» (che ad ogni buon conto sono già stati espulsi dal partito), ma anche con Peters e Bsirske, quest'ultimo tuttavia solo dirigente sindacale iscritto al partito verde (sia pure da questo sempre più lontano) e che dunque ha potuto rispondergli per le rime. Più prudente il presidente della IG Metal ha precisato: «Noi non vogliamo cambiare governo, ma politica». Più cauto di tutti il nuovo presidente ella SPD, Muenterferring, che, nel timore della rottura, ha cercato la via del dialogo, ripetendo che la coalizione rosso-verde ha la maggioranza solo nel Budestag e non nel Bundesrat, dove, per via delle disastrose elezioni nei Landers, è la CDU-CSU ad esercitare ormai da tempo un saldo controllo che gli consente di bloccare ogni misura fiscale progressiva.
«Se indebolite la socialdemocrazia aprite la strada ai democristiani che sono certamente peggio» rimprovera la sinistra socialdemocratica che evoca il fantasma Nader. Ma qui, a differenza degli Stati uniti, non c'è un Bush da abbattere ad ogni costo, c'è un governo di centrosinistra ormai tanto impopolare da indurre molti a dire che i due schieramenti ormai si equivalgono. Il che non è, nonostante tutto, naturalmente vero e infatti, sebbene pesanti, i tagli alla spesa pubblica lasciano in piedi uno stato sociale che, almeno relativamente, resta il migliore d'Europa. Ciò in cui rossi-verdi, gialli e neri sono davvero uguali è nella subalternità al quadro politico-culturale disegnato dalla OMC e dall'Unione europea, che inesorabilmente omologa le politiche di tutti i governi che non hanno la forza e la voglia di ribellarsi. E' un problema che riguarda la sinistra di tutta Europa, che ha già fatto pagare prezzi pesanti a non pochi governi socialisti e non pochi rischia di farne pagare, a noi compresi.
E' ancora una volta questo problema che ha prodotto la sconfitta dei socialisti francesi e colpito i comunisti che gli erano alleati nel governo. E ora è all'origine della proposta di un nuovo partito di sinistra, qui avanzata non tanto dai sindacati (drammaticamente assenti dal movimento) quanto da Attac, o meglio da una sua consistente ala che si è riunita in assemblea a Parigi il 22 scorso. E' vero che qui una sinistra della sinistra c'è - i trozkisti - ma anche questi, dopo il successo nelle elezioni europee del '99, sono usciti massacrati, come Izquierda Unida in Spagna, dal voto del 13 giugno. «Sono tutti partiti vecchi, anzi praticamente morti» - rispondono i francesi delle «Liste 100% altermondiste» a chi chiede loro perché mai la protesta non ha preso quella strada. E per quanto riguarda la Germania, dove pure esiste la PDS, l'obiezione è sempre quella della sua mancanza di radicamento ad ovest (ma «Alternativa elettorale» non ne ha ad est, se è vero che fra i 14 esponenti del suo direttivo neppure uno viene da lì).
Tutto vero. Meno chiaro - ma per fortuna i promotori dei nuovi partiti se ne rendono conto - è come sarà possibile evitare la tenaglia protesta/ integrazione che ha massacrato i tentativi precedenti. A cominciare da quello pur così promettente dei Verdi tedeschi. E' un discorso lungo e complesso: di positivo c'è che i movimenti cominciano a porsi il problema dello sbocco politico e che se sapranno evitare semplificazioni potrebbe venirne del bene per tutti. Soprattutto se riusciranno ad incidere sull'agenda politica delle grandi formazioni e dare così una prospettiva alle mobilitazioni.