VISIONI

In volo verso la trance

ONORI LUIGI,ROMA

Omar Sosa salta dallo sgabello del pianoforte quando la musica raggiunge la massima intensità, si fa il segno della croce mentre - abbracciato ai suoi musicisti - ringrazia il pubblico e accende sul bordo del piano un lumino guarnito da nastri rossi, essendo un devoto della santerìa cubana. Vestito completamente di bianco, alto ed ascetico con il suo copricapo, estroverso e comunicativo, il 39enne pianista cubano ha deliziato il pubblico del Fandango Jazz Festival il 30 giugno e sarà presente in altre rassegne italiane (tra cui Jazz by the Sea a Fano, il 4 luglio). La rassegna capitolina è iniziata il 1° giugno e ha offerto pregevoli recital come quelli dei trii con Oliver Lake-Reggie Washington-Andrew Cyrille e Han Bennink-Daniele D'Agaro-Ernst Glerum. Parlare per Sosa di latin-jazz è molto riduttivo: formatosi con studi classici nella natìa Cuba (tra Camaguey e l'Avana), il pianista e compositore nel 1993 si è trasferito in Equador, prima tappa di un nomadico viaggio alla ricerca dei tanti rami sonori nati dalla madre Africa. A San Francisco dal 1995, nel 2000 si stabilisce in Spagna (Palma de Maiorca e poi Barcellona) ed è soprattutto in Europa - in Francia in particolare - a avere un successo concretizzatosi in ben 9 album. Omar Sosa va a scavare nei patrimoni sonori afrocubani e afroequadoregni nonché afroamericani, si ispira a musiche che hanno valenze rituali come quelle derivate dagli Yoruba diffuse a Cuba o quelle dei nordafricani Gnawa, una confraternita di ex-schiavi. Il fatto straordinario è che il pianista connette queste radici al presente, in una musica esuberante eppure con tratti di spiritualità, dal forte impatto fisico che sa anche volare verso la trance e il metafisico. Titoli come Mother Africa, Africa Madre Viva, Oda al Negro ricorrono nel repertorio e incarnano un africanismo universale tollerante, interculturale, antirazzista, gioioso, liberatorio.

Accompagnato dall'altista cubano Luis Depestre, dal bassista mozambicano Josè Julio Tomàs e dal batterista Anga Diaz (due degli ultimi album sono stati realizzati in duo con percussionisti: Gustavo Ovalles in Ayaguna e Adam Rudolph in Pictures of Soul), Omar Sosa ha sedotto il pubblico con vari pezzi, secondo un paio di tipologie ricorrenti. Dias de Iyawo, per esempio, inizia in modo quasi atemporale con il piano che cesella melodie suadenti, vellutate, intime, tornite con un tocco che tradisce gli studi classici ma li tempra di una passione tutta cubana. Le percussioni e il basso si limitano ad accompagnare mentre l'alto enfatizza le melodie. Man mano il pezzo cresce di volume e intensità fino a esplodere in un caleidoscopio di suoni e ritmi. In Toridanzón, invece, sono messe in luce le radici afrocubane ma i ritmi e i fraseggi tipici si affacciano per essere via via variati fino all'ipertrofia e all'espressionismo.

Già straordinario come pianista, Sosa ha iniziato a usare l'elettronica con rara intelligenza, usando echi, campionamenti, loop e delay che rendono la sua musica ancora più polifonica, poliritmica e trascinante. L'ultimo suo album è il piano solo A New Life (Otá records) ma i recital sono incomparabili a qualsiasi ascolto.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it