VISIONI

A Villa Ada, la sciamana della musica Z-Star

CORZANI VALERIO,<NR />ROMA

C'era molta attesa per l'esibizione romana di Z-Star. C'era quel tipo di attesa che scatta quando si celebra l'arrivo di un'artista che ancora deve dimostrare molte cose, ma che ha già messo insieme alcuni talloncini professionali capaci di garantirne la caratura e il potenziale. Z-Star sembra vivere questo momento con tranquillità, naturale sia di fronte al calore artefatto del pubblico del Festivalbar sia di fronte a quello ben più appassionato dell'audience che l'ha scelta per la rassegna «Roma Incontra il mondo» a Villa Ada . Inizio concerto da sciamana per la londinese di origine caraibica, con un mazzo di conchiglie in mano ed un pattern ritmico sfoderato dal pianista Julian Hinton. Quest'ultimo insieme al batterista Fred Portelli e a due musicisti italiani (il bassista e producer Vezio Bassi, il tastierista Claudio Passavanti) completa la line up di una band che avvolge il talento della front-woman con grande dedizione. Meglio, molto meglio, quando il gruppo spinge le atmosfere verso un trattamento più sanguigno, viscerale, spurio dei brani, piuttosto che verso una sorta di songwryting arrangiato «fusion». Z-Star peraltro, ha un timbro e una carica che sposa mirabilmente la prima opzione e ogniqualvolta decide di raffreddare i toni, con pose da sophisticated lady , finisce per alterare la riuscita della miscela sonora. In brani come la dilatata Summer Rain, in Black Woman Freak (con la chitarra acustica che diventa una telecaster distorta), nella cover di Yoruba Man (dell'amico Keziah Jones), nei riff di Casanova Lover Man l'alchimia che mette insieme folk, pop, funk, soul e R&b funziona invece a meraviglia, e sono questi i tasselli che insieme al singolo Lost Highway fanno davvero decollare il concerto. Dal punto di vista vocale Z-Star ha invece una personalità già matura e completa, i riferimenti a Nina Simone, Joan Armatrading, Tracy Chapman, Terry Callier ci stanno tutti, ma allo stesso tempo la sua grana è già totalmente sua.

Un'estensione notevole le permette di approcciare le proprie composizioni, ma anche standards impegnativi come Fever, con una surplace inusitata e sorprendente. D'altra parte la scelta di lasciare le strutture degli arrangiamenti un po' lasche, passibili di svolte e derive improvvise, le permette di cucinare un live che coniuga forma e sostanza, calligrafia e human-touch. Le lunghe pause tra un pezzo e l'altro, i pieni e i vuoti sonori continuamente cangianti e pilotati da Z-Star con qualche incoscienza, finiscono per essere un valore aggiunto dell'esibizione, mentre la cocciuta ricerca del coinvolgimento del pubblico, che richiama il trito armamentario delle celebrazioni pop, impoverisce più che aumentare il tasso emozionale della performance. Piccoli scompensi di un progetto in divenire che, mantenendo la sua integrità iniziale, potrebbe aumentare il suo appeal in maniera esponenziale.

Le direzioni suggerite da un brano inedito come A new Day, proposto come bis, sono da questo punto di vista piuttosto rassicuranti. Il talento multiforme di Z-Star - compositrice, vocalist, chitarrista, perfino timbalera - non smette di definirsi e crescere.

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