VISIONI

Ornette grida il suo blues

LORRAI MARCELLO,MILANO

Certo, Zorn in Masada ne fa spesso una eccellente imitazione, che qualche volta in questi ultimi anni è potuta persino risultare migliore del vero, a confronto con un modello apparso in alcune occasioni un po' appannato. Ma se l'originale è concentrato e ispirato, come mercoledì sera sul palco del Teatro Strehler, basta un istante e si capisce che non c'è Zorn che tenga, che siamo su un altro pianeta. Anche perché mentre Zorn è rimasto fermo a un Coleman stilisticamente ampiamente acquisito, un Coleman «classico», con le sue settantaquattro primavere sulle spalle Ornette continua a non dormire sugli allori, e anche il suo modo individuale di suonare, e non solo la musica nel suo complesso, dà l'idea di una ricerca che continua, di una inquietudine che non si è risolta. Forse sta anche trovando una cifra che fa i conti con forze che non sono più quelle di quando alla fine degli anni cinquanta scandalizzava un pubblico che non riusciva a stare dietro al suo anticonformismo, alla sua sensibilità innovatrice. Sembra aver lavorato di scavo, Ornette, sull'economia del linguaggio, la sottrazione. Entra in scena e al sax alto attacca un pezzo con un fraseggio e un suono aperti e luminosi, che vanno diretti al cuore. È come se fosse un Ornette reinterpretato dalla buonanima di Lester Young, come se il blues fosse stato portato al più alto grado possibile di astrazione.

Presentato nell'ambito della quinta edizione della Milanesiana, ricca manifestazione che si occupa di letteratura, musica e cinema, Coleman è tornato a Milano per un'unica data italiana con l'organico a cui si è affezionato negli ultimissimi anni e si è già proposto anche nel nostro paese, seducendo la platea di Umbria Jazz 2003: batteria, affidata all'immancabile figlio Denardo, e due contrabbassi, con Tony Falanga e Greg Cohen. Falanga è uno strumentista di provenienza classica: quasi esclusivamente con l'archetto, contribuisce creando atmosfere di impronta accademico-contemporanea, tirate fuori dalla cassetta degli arnesi della musica «colta» del novecento. Suona come se stesse facendo musica per conto suo, in generale senza una evidente relazione con quanto fanno gli altri e Coleman innanzitutto: ma si tratta di una sconnessione voluta, di quel genere di sfasamenti che Ornette ama e che in sembianze diverse (anche elettriche col suo Prime Time) propone ormai da qualche decennio, perché contribuiscono ad enfatizzare la solitudine del suo sax. Denardo e Cohen, che è arrivato ad Ornette dopo aver lavorato con Tom Waits e poi appunto col Masada di Zorn, creano invece una fitta pulsazione ritmica su cui Coleman può distendere senza vincoli la propria assorta improvvisazione. Il suono degli strumenti a cui si alterna, tromba e violino oltre al sax, si staglia su quello degli accompagnatori, che è tenuto ad un volume molto moderato: per arginare Denardo, generalmente non un mostro di misura ma questa volta a onor del vero abbastanza sottile, la batteria è stata circondata da lastre di plexiglass. Dalla tromba Coleman spreme con parsimonia un distillato di lirismo, ed è con la tromba che qui la poesia di Coleman si avvicina di più alla voce umana e al grido. Magistrale il modo come ad un certo punto accenna sul sax al suo cavallo di battaglia Lonely Woman, evitando con intelligente pudore il luogo comune di una enunciazione aperta del tema.

A Ornette, che come molti nel jazz oggi non gradisce essere catalogato, piace pensare che la sua ricerca non ha limiti: per nostra fortuna è però orientata da una bussola che segna sempre la direzione del blues: che nei singhiozzi, singulti, soprassalti di un lungo, magnifico bis, è riemerso alla fine - quasi a compensare la sublimazione dell'inizio - in una versione più terrena e memore persino di quel rhythm'n'blues che Coleman ha tanto genialmente trasfigurato nella sua musica. Peccato per chi non c'era e sono stati molti e parecchi probabilmente incolpevoli, se è vero che la maggior parte degli stessi addetti ai lavori ha saputo di questo imperdibile evento musicale all'interno della Milanesiana con solo qualche giorno di anticipo: nella promozione di questo appuntamento qualcosa non deve avere funzionato a dovere, e il concerto è stato seguito di conseguenza solo da un paio di centinaia di spettatori, quasi esclusivamente giornalisti e invitati.

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