CIAO TOM

La pace perde il suo uomo

CASTELLINA LUCIANA,ITALIA/ROMA

Alla mia età non ci si dovrebbero più porre questi perché: perché proprio lui, giovane, intelligente, anzi prezioso? Si dovrebbe essere abituati alla tragica bizzarria della sorte che colpisce a casaccio. E invece non ci si abitua e assieme alla tremenda tristezza cresce la rabbia: perché perdere d'improvviso qualcuno che, come Tom Benettolo, era diventato per tanti - per tutti quelli che con la testa e con il cuore chiamiamo compagni - un punto di riferimento umano e politico, appare una inspiegabile, assurda, maledetta ingiustizia storica. Averlo perduto a 53 anni, nel pieno della maturità e nel momento in cui il suo ruolo era diventato più che mai indispensabile, anzi irripetibile, non è solo una tragedia umana per sua moglie Eva, il suo piccolissimo figlio Gabriele, i suoi amici e collaboratori più stretti. E' una tragedia politica. Dalla presidenza dell'Arci - gloriosa e vecchissima associazione fra le poche sopravvissute al XX secolo e alla morìa delle organizzazioni storiche della sinistra - Tom aveva saputo tessere, con radicalità e insieme con equilibrio, una rete che dai boy scouts andava fino ai disubbidienti. Era il solo presente a tutte le manifestazioni possibili, fossero quelle benedette dall'acqua santa o toccate dalla coda del diavolo. Non perché fosse neutro, al contrario: perché credeva nella virtù del dialogo e riteneva utile e giusto andare a dire la sua opinione ovunque lo invitassero a dirla. E proprio questo impegno lo teneva sempre in viaggio, nei grandi e nei piccolissimi centri del nostro paese (meno all'estero, ché ogni volta, pur avendo lavorato a preparare i grandi appuntamenti internazionali del movimento dei movimenti, il senso del dovere, la sua etica quasi esagerata, lo trattenevano dal partire per luoghi esotici per via di qualche scadenza minore che non si sentiva di disattendere).

Non è stato - intendiamoci - solo un instancabile tramite, funzione del resto di per sé di grande importanza in questo mondo popolato sempre più da sordi. Tom aveva un disegno chiarissimo e lo perseguiva con ostinazione: contribuire a ricostruire la sinistra italiana, non sulla base di un astratto disegno, ma a partire dai materiali esistenti, senza fughe in avanti e però senza condiscendenze verso le ipotesi di chi pensa che una molteplicità di gruppi atomizzati, per il solo fatto d'essere antagonisti, possa trasformare il mondo. Tom era uno di quelli rimasti fino in fondo comunisti: un comunista italiano, che non fonda il proprio progetto sulla semplice protesta né sulla sola iniziativa istituzionale, ma sull'ipotesi della crescita di una consapevolezza culturale e politica a livello di massa che consenta un protagonismo in grado di ridurre il solco fra governanti e governati, di esercitare l'egemonia necessaria a esercitare un governo della società. Tenendo ben fermi i paletti che dividono gli amici dai falsi amici e dai nemici. E però sapendo anche scoprire nuovi amici, diversi per formazione e modi di fare politica. La tanto abusata parola «contaminazione» nel suo agire aveva senso reale.

La sua Arci , un'associazione votata all'attivazione della vita culturale popolare, all'associazionismo, al volontariato sociale, alla solidarietà verso i più deboli, è stata in questi anni un modello di come sia possibile coniugare la minuta iniziativa di base con un profondo radicalismo di ispirazione, con un protagonismo politico che l'ha resa un soggetto essenziale nel quadro attuale. E' difficile pensare allo straordinario movimento cresciuto nel nostro paese, alle straripanti manifestazioni di questi anni, senza assumere il ruolo decisivo dell'Arci, collegamento essenziale fra organizzazioni diverse. Un soggetto spregiudicato, realmente autonomo, come si è visto bene nel corso della vicenda irachena, durante la quale non si è mai fatta intimidire dai richiami moderati, pur molteplici.

Nel suo ufficio nella grande casa dell'Arci a via dei Monti di Pietralata c'è una vecchia foto che lo ritrae a non so quale congresso del Komsomol di molti anni fa, in un'epoca assai precedente allo «strappo»: tutti, in piedi, applaudono, meno lui che rimane a braccia conserte. Perché Tom è stato sempre capace di andare controcorrente. Senza strappi, ma con duratura ostinazione.

Fu così anche all'inizio degli anni '80, quando lavorammo gomito a gomito a costruire il nuovo movimento della pace, rinato nella battaglia contro i Pershing e i Cruise e quando costruimmo - assieme a tanti altri compagni, quasi tutti ancora in trincea - l'Associazione della pace, che riunì gli sparsi gruppi formatisi in Italia. E si dette vita al primo movimento europeo, ispirato dall'appello dell'European Nuclear Disarmament, per un'«Europa senza missili dall'Atlantico agli Urali», un progetto da realizzarsi con successivi passi di disarmo unilaterale nei due campi in cui la guerra fredda aveva diviso l'Europa. I nostri slogan erano troppo estremi per le prudenze di una buona parte del Pci di quegli anni, per certi versi più cauto di alcuni dei leaders socialdemocratici di allora: Michel Foot e Olof Palme, ma anche gli olandesi e i greci. La stessa autonomia del movimento cui avevamo dato vita appariva troppo estesa e inusuale in quella stagione. Gestire la vicenda per Tom, in quell'epoca funzionario di Botteghe oscure, non fu facile: ma riuscì a tener duro e al tempo stesso a evitare lacerazioni.

Lo aiutava, in questi miracoli, il suo straordinario carattere solare, la sua trasparenza, la sua infinita pazienza , la sua fermezza.

In questi ultimi anni Tom era politicamente molto cresciuto e aveva acquistato quella sicurezza e saggezza che gli hanno consentito il ruolo centrale giocato non solo nel movimento ma, più in generale, nella sinistra. Non c'è nessuno, oggi, che in tale ruolo possa sostituirlo.

E' una grande perdita. La nostra tristezza è infinita; per me, lasciatemelo dire in prima persona, per via dei tanti anni di ininterrotta strettissima collaborazione, è una tristezza lacerante.



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