VISIONI

Se bastasse una sola canzone

IAVARONE LUIGI,MILANO

Non manca niente dell'armamentario tipico di una manifestazione musicale, fin dal soundcheck. L'effetto Larsen da domare, le voci che non si sentono, gente che fa chilometri tra palco e mixer mentre in fondo si cucina e arriva la birra. Tutto normale. Eppure quello che si prepara alla Cascina Monlué di Milano si chiama Extrafestival. E i partecipanti che si lanciano all'assalto dell'italico repertorio canoro si chiamano Aicha & Wintana, Lin, Achil, Alfredito y Pedrito, Jinet. Rigorosamente extracomunitari. O quasi: Katerina, che vive in Italia da cinque anni e di mestiere fa la modella, è infatti della Repubblica Ceca, e questo, da poco più di un mese, fa di lei una cittadina non marginale dell'Europa Unita. Fiera e divertita, più tardi porterà sul palco Luce di Elisa, che ama smisuratamente. L'evento, giunto alla sua terza edizione, è organizzato da Radio Popolare, ed è una costola dell'Extrafesta, «un appuntamento annuale con grandi musicisti del sud del mondo. Dopo diciotto edizioni ci è venuto in mente di fare un gioco che ribaltasse la presenza sul palco. Anziché portare per gli stranieri un artista straniero, mettere sul palco i cittadini stranieri che vivono in Italia a cantare le canzonette italiane».

Claudio Agostoni, pilota dell'evento attraverso una trasmissione che da gennaio ha selezionato il cast, ha raccolto un numero impressionante di adesioni, nate soprattutto dal passaparola. Tra i concorrenti di questo affollatissimo festivalbar meticcio qualcuno ha fatto della musica un secondo lavoro, se non la prima occupazione. E si sente. È il caso di Khaled, musicista professionista algerino, venuto appositamente - a spese sue - dalla Svezia, dove vive, con una versione «pop-rock-raï» di Alba Chiara. Mentre i navigati Alfredito y Pedrito, rappresentanti della comunità peruviana (oggi la più numerosa a Milano, ha superato quella filippina) virano sull'attualità della bachata un Pupo d'annata (Forse). Altre esibizioni vocali sono ai limiti tecnici del possibile, ma resterà impressa la versione inconsapevolmente espressionista (il gruppo a fare il suo, lui pure, ma in due mondi diversi) de Il ragazzo della via Gluck, di Lin, cinese che nella strada resa celebre da Celentano ci ha abitato per dodici anni. Dilettanti allo sbaraglio, che però superano l'effetto Corrida, per più di una ragione. Non è solo il fatto che il pubblico non abbia campanacci da utilizzare in luogo degli applausi. È che quando gli chiedi se sperano di vincere sgranano gli occhi: «Perché, si vince qualcosa?». Hamid, marocchino, è qui da tre anni, fa «il colf» e ha una impensabile venerazione per Battiato, di cui prova La stagione dell'amore. E quando lui - come gli altri - salirà sul palco non ci sarà esitazione, impaccio, stecca che tengano. È sempre applauso, equo e solidale. Per chi gorgheggia agile e chi pedala in salita su canzoni con cui c'è un legame forte, su cui si è imparato l'italiano o che si cantano sotto la doccia. Ma provando a farlo al rovescio, «quali sono le canzoni, gli artisti italiani che si ascoltano nel tuo paese?», il gioco si è risolto con un plebiscito per Eros Ramazzotti, condito da un po' di Zucchero, Bocelli e Cotugno. La globalizzazione non ha i binari tutti uguali.

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