VISIONI

Viaggio a Kalandia, Palestina

MACRI' TERESA,BARCELLONA

Il filo che separa l'arte visiva dal cinema appare sempre più labile. Molto spesso gli artisti incorrono nel territorio cinematografico come fonte di manipolazione e ancora più spesso utilizzano il formato della pellicola per la realizzazione delle loro opere. Un caso per tutti è quello di Steve Mc Queen. Alla Fundación La Caixa di Barcellona la sterminata mostra Ficciones documentales (aperta fino al 27 giugno), curata da Marta Gili e da Jean Pierre Rehm, indaga proprio su questo territorio, concentrandone il nucleo investigativo sui nuovi valori e linguaggi che il video documentativo e di finzione ha assunto negli ultimi anni. 21 gli artisti invitati: tra gli altri, Zineb Sedira, Sobhi Al-Zobaidi, Keren Amiran, Kutlug Ataman, Javier Colomer, Tacita Dean, Harun Farochi, Noelle Pujol, Walid Raad, Santiago Reyes, Allan Sekula, Jia Zhang Ke. Immagini che si articolano su se stesse, in variazioni formali sempre difformi, ma che oramai si indirizzano sempre più verso l'aspetto documentativo del reale piuttosto che sulla costruzione. Questione attualissima vista la tendenza trainante, anche fotografica e installativa, nel panorama attuale. La oggettività della ricerca, l'essenzialità del prodotto, l'asciuttezza della forma. Individuale o collettiva che sia la documentazione della realtà indagata si sta prosciugando sempre più del suo aspetto formalistico e predilige una «narrativa» diretta. Videoinstallazione, diaporama, internet sono le variegate strategie di rappresentazione. Quasi un ritorno al docufilm. Una ibridazione tra la cinematografia di Chris Marker e Jean Rouch, uno sguardo a Godard e la libertà di ubicarsi in un terreno ancora spurio, inventato e senza limiti.

Il palestinese Sobhi Al-Zobaidi presenta Crossing Kalandia (2002) e con esso non lascia né dubbi né speranze sulla situazione israeliano-palestinese. Kalandia è il nome di un campo di rifugiati, situato tra Ramallah e Gerusalemme, che è diventato uno dei siti dei territori palestinesi dove l'esercito israeliano effettua massicci controlli. Attraverso la forma di un diario intimo, il film mostra il primo anno di vita di Kenza, la figlia del regista, evidenziando gli sforzi della famiglia e di quella dei vicini, per trovare una dimensione di «normalità», tra tanta angoscia e sofferenza.

Noelle Pujol, ancora in forma oggettiva mostra Visite à domicile, 2002 un poeticissimo film sulla visita a casa di Edmonde, una vecchia signora che vive in uno sperduto paesino bretone, dove la vita passa attraverso momenti di una quotidianeità, quasi insignificante. La macchina da presa entra con tenerezza dentro il viso di Edmonde, tra le sue rughe, tra le sue mani mentre fa tricot o ramazza la cucina, tra gli oggetti di casa, i rumori e i silenzi. Neppure una parola eppure le immagini dicono tutto.

Zineb Sedira in Mother Tongue del 2003, un trittico video installativo, si assume l'impegno di inscenare una conversazione frammentata tra lei, la figlia quindicenne e la madre algerina. Differenti gli idiomi che si articolano così come differenti i luoghi di appartenenza delle tre generazioni femminili che compongono la famiglia. In realtà mostra anche la difficoltà di parlare una lingua unica e sottoscrive il tracciato che la storia algerina ha sviluppato negli anni della guerra di Algeria e della diaspora del suo popolo.

Il turco Kutlug Ataman entra parzialmente nella fiction con Women Who Wear Wings, 1999. Il film si sviluppa mentre quattro donne, davanti allo specchio, narrano quattro storie differenti che le hanno indotte a usare una parrucca. Sembrerebbe il set di mujeras al borde di un ataque de niervos oppure una tentazione verso la dimensione più frivola femminile eppure la prima donna racconta che ha dovuto usare la parrucca perché accusata di terrorismo e ha vissuto in clandestinità per 30 anni, la seconda perché ha perso i capelli a causa della chemioterapia, la terza perché essendo musulmana preferisce portare la parrucca al posto del velo, l'ultima perché è un transessuale. La parrucca diventa un mezzo di trasferimento identitario.

Harun Farocki in Eye Machine, 2001, invece ha ricercato tutte le immagini diffuse dai media, recuperandole in parte anche in archivi, della spettacolare prima guerra del Golfo e ha documentato le tecniche di manipolazione dell'immagine «intelligente». Dopo la seconda guerra del Golfo (ancora in corso) Farocki avrebbe molto da lavorare, soprattutto alla luce delle ignobili immagini delle torture dei militari americani nella prigione di Abu Ghraib...

Tacita Dean invece resta nel campo della memoria e riprende probabilmente le ultime immagini dell'artista Mario Merz, nel suo giardino di casa, per condensarne un ritratto che è oramai un omaggio post-mortem. Videos de ciudades, 1999-2004 è il video che l'ecuadoriano Santiago Reyes ha realizzato in città differenti (Quito, Berlino, Milano, Barcellona, Montréal ecc) in luoghi molto standardizzati e, sempre, utilizzando una coppia che parla dei propri sogni e dei propri desideri e unificandone le aspettative nel conseguimento delle proprie felicità. Lo spagnolo Javier Codesal, infine, in Lectura de manos, 2002, attraverso dei piani sequenza lunghissimi, riprende una donna che legge la mano ad un uomo. La camera si intrufola in soggettiva al punto che la lettura della mano sembra avvenire direttamente sullo spettatore. Potenza delle immagini.

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