MONDO

Vanunu esce, tra insulti ed elogi

GIORGIO MICHELE,GERUSALEMME

HaGhibor, HaGhibor», «Eroe, Eroe», hanno scandito ieri mattina i sostenitori israeliani e stranieri di Mordechai Vanunu. «Le armi atomiche sono il vero terrorismo», hanno proseguito. Dall'altra parte un gruppetto di attivisti di destra non ha saputo far altro che urlare «Vanunu ben zonà', Vanunu ben zonà», «Vanunu figlio di puttana». Parole che ben evidenziavano la differenza culturale dei due schieramenti. Vanunu, camicia bianca rigata, cravatta, valigetta, le dita che facevano il segno della vittoria, ieri aveva soprattutto voglia di lasciare la prigione di Shikma (Ashqelon) dove ha trascorso 18 anni della sua vita (11 dei quali in isolamento) per aver rivelato al mondo l'esistenza in Israele di una produzione nucleare militare, in aperta violazione delle leggi internazionali. Ma aveva anche desiderio di andare in una chiesa a Gerusalemme, quella anglicana di S. George, a pregare, cosa che ha fatto nel primo pomeriggio. Appena lasciata la sua cella, nei pochi istanti che gli hanno concesso le autorità prima di portarlo via, Vanunu tuttavia ha voluto ribadire ai giornalisti di non aver cambiato idea, di essere combattivo come sempre e che le misure restrittive decise dal governo Sharon nei suoi confronti non riusciranno a piegarlo. «Sono orgoglioso di ciò che ho fatto, non ho più segreti da rivelare», ha affermato esprimendosi in inglese (ha rifiutato di farlo in ebraico), in una dichiarazione letta ai giornalisti, aggiungendo che Israele «non ha bisogno dell'arma nucleare». Ha poi lanciato un appello al mondo e al governo israeliano affinché la centrale nucleare di Dimona, dove ha lavorato per anni, sia aperta alle ispezioni internazionali. Infine ha sostenuto di essere stato costretto a passare 18 anni in prigione perché si era convertito al Cristianesimo. Poi prima di entrare in automobile, con la mano ha salutato da lontano Mary e Nick Eoloff, i genitori adottivi giunti dal Minnesota per festeggiare la sua scarcerazione.

I suoi veri genitori, ebrei religiosi mai rassegnatisi alla sua conversione e imbarazzati dall'etichetta di «nemico di Israele» appiccicata addosso al figlio, invece sono rimasti a casa. «Mordechai vuole solo un po' di relax. Farsi una vita normale. Magari sposarsi. Per ora le autorità non gli consentono di lasciare Israele», ha dichiarato Nick Eoloff. Tra i sostenitori di Vanunu giunti ad Ashqelon c'era anche l'attrice britannica Susannah York. Schierata contro la proliferazione delle armi atomiche nel mondo, York ha detto di aver trovato nel tecnico nucleare israeliano un esempio di coerenza e determinazione da seguire. «Mordechai ha seguito solo la sua coscienza - ha dichiarato al Manifesto - ha compreso che doveva rivelare qualcosa di terribile, ovvero che nel suo paese si producono in segreto ordigni atomici. Tutto ciò è illegale oltre che pericoloso, tutti i paesi, quelli arabi e Israele, devono rinunciare alle armi di distruzione di massa. Con il suo atto di coraggio Vanunu ha voluto dirci questo e quindi sono qui a salutare il suo ritorno alla vita».

Qualche metro dietro Susannah York, con un cartello in mano che dava il bentornato a Vanunu, c'era l'irlandese Mairead Magvire, premio Nobel per la pace nel 1976. «Vanunu ha lanciato un messaggio di pace al mondo, ha detto agli israeliani ma anche agli arabi, che bisogna dire basta alle armi atomiche. Per me quest'uomo è un eroe», ha affermato. «Macché eroe. E' un traditore. Vanunu deve morire» hanno replicato alcune persone. «Se me lo trovo davanti, quanto è vero Iddio, gli taglio la gola, lo mando a raggiungere lo sceicco Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi. Non mi importa affatto se poi mi condannano all'ergastolo», ha detto un attivista di destra. Alcuni dei suoi compagni non hanno trovato di meglio che darsi alla caccia dell'arabo di turno e hanno preso di mira il deputato comunista Issam Mahul, che da tempo insiste per controlli internazionali alla centrale di Dimona. «Assassino, meriti il carcere», hanno urlato a Makul, sputandogli addosso.

Un avvocato di Vanunu, Oded Feller, dirigente della «Organizzazione per i diritti civili» è insorto contro quella che ha definito una campagna «orchestrata dal governo» per diffamare e danneggiare Vanunu. «Sono state fonti della sicurezza - ha detto - a rivelare alla stampa dove Vanunu prevedeva di trasferirsi (un residence di Giaffa) e dove adesso non può più andare, perché la sua incolumità potrebbe essere in pericolo». L'ex tecnico nucleare di Dimona andrà forse a vivere, in una fase iniziale a Giaffa, alla porte di Tel Aviv, dove ieri sera, primo vero momento di festa e gioia per l'avvenuta scarcerazione, ha incontrato in un noto ristorante arabo un centinaio di suoi storici sostenitori che non lo hanno mai abbandonato per tutti i 18 anni di carcere che ha dovuto scontare. E forse non è ancora finita.

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