VISIONI

La musica va in campagna. Elettorale

IAVARONE LUIGI,ITALIA/EUROPA

C'eravamo salutati cantando con Fossati «e prendiamola fra le braccia questa vita danzante, questi pezzi di amore caro, quest'esistenza tremante, che sono io e che sei anche tu». Oggi ci risiamo, la campagna elettorale permanente - che sta per far tappa alle europee - incrocia nuovamente il suo destino musicale. Pochi giorni fa, al suo arrivo al Congresso dello Sdi di Fiuggi, il candidato ulivista Romano Prodi veniva calorosamente accolto - tra l'altro mentre Rutelli ancora parlava - dalla canzone Ragazzo dell'Europa di Gianna Nannini. Il riferimento non ha bisogno di spiegazioni, il Professore arrivava direttamente da Bruxelles. Piuttosto, sarebbe il caso di soffermarsi su passaggi come «tu che prendi a calci la notte, bevi fiumi di vodka e poi ti infili i miei jeans/ tu cominci sempre qualcosa poi la lasci sospesa e non parli di te ed anche tu che fai l'amore selvaggio trovi sempre un passaggio per andare più in là, viaggi con quell'aria precaria, sembri quasi un poeta dentro ai tuoi boulevard». Mah. Comunque, oltre a marcare uno scarto intellettuale sul concetto di lifting (invasivo quello di Berlusconi, metaforico quello di Prodi), il fatto richiama alla memoria i giorni epici - e lontani, era il `96 del secolo scorso - in cui La canzone popolare di Ivano Fossati risuonava forte guidando le lacrime dell'attesa vittoria verso un nuovo sól dell'avvenire - da cui poi comunque siamo arrivati fin qui. La canzone della Nannini ha l'aria di un secondo tentativo: lo scorso febbraio alla convention ulivista di Roma Gad Lerner e Michele Santoro salutarono lo stesso Prodi sulle note di Una vita da mediano di Ligabue. Il brano però ha mostrato qualche limite di rappresentatività: va bene che «poi vinci casomai i mondiali», ma cosa può aver pensato il candidato del passaggio «una vita da mediano, da uno che si brucia presto, perché quando hai dato troppo devi andare e fare posto»? E poi: è giusto (e efficace) offrire a un elettorato da conquistare la prospettiva di «una vita da mediano a recuperar palloni/nato senza i piedi buoni lavorare sui polmoni»? Una vita «da chi segna sempre poco/che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco»? In più, delle ispirazioni operaiste che affiorano nell'epica del sacrificio già l'attuale premier fece improvvido uso (ricordate il «Presidente operaio»?). Come potenziale inno, dunque, una canzone bruciata.

Il quadro generale che si delinea alle porte delle europee sembra autorizzare sogni di vittoria, e la relativa sussidiarietà di queste consultazioni rispetto alle prossime politiche (2006?) è bilanciata dal denso significato legato al momento fibrillante. E allora si fa sul serio fin da ora, e la Nannini dopo Ligabue segna l'avvio ufficiale della campagna musicale della campagna elettorale. Senza contare Il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, utilizzata un mese fa per sonorizzare la riconferma di Rutelli al Congresso della Margherita di Rimini e riproposta sabato scorso in ambiente Ds, per la prima Assemblea nazionale dei segretari di sezione. La cronaca del Messaggero ha parlato di «un inno da battaglia elettorale» e questo ha provocato l'attacco preventivo di Claudio Bucci, presidente della Commissione cultura della Regione Lazio, al grido di «Rino Gaetano è patrimonio di tutti». Inteso che la scelta dell'inno dei Ds era cosa fatta, ha malignamente osservato come tra «tanti artisti di sinistra non ce ne sia uno in grado di comporne uno originale». Aggiungendo: «E se Forza Italia si prendesse Nel blu dipinto di blu?».

Il parlamento pazzo

Frankie Hi-Nrg, comunque, ha fatto da apripista: il suo Rap-lamento è un lavoro propedeutico che polemizza non poco con la confusione attuale: «Il parlamento è uno stadio tutto pazzo/2 curve a gradinate senza un vero campo in mezzo/rinchiuse in 2 palazzi in cui s'attizzano gli scazzi/tra schiamazzi e rubamazzi, istituzionalizzando gli intrallazzi, per arrivare al segno di matita decisivo: quando sei in cabina e giochi la schedina/ricordati che sei la colonna di un sistema/valuta un po' prima: rametto o bandierina? Scegli attentamente il tuo prossimo problema». L'allegoria è doppiata dall'utilizzo di un campione del tema storico di Novantesimo Minuto.

Ma l'inno è un'altra cosa. Su cosa deve far leva? Su ragioni politiche interne, su temi di largo respiro e valori in cui riconoscersi e attorno ai quali raccogliersi? Oppure l'attuale esasperazione dei toni farebbe aleggiare la voglia di «cantarle» all'avversario, così come nelle manifestazioni molti, moltissimi cartelli e striscioni insistono proprio sull'avversario, la maggioranza (leggi: Berlusconi)?

Per capirci: in America J. F. Kerry non può forse contare come Bertinotti su un inno personale - confezionatogli addosso da Daniele Silvestri (L'uomo col megafono), ma sa di avere l'indiretto sostegno di un movimento vasto e spontaneo che se non canta «per» lui lo fa «contro» l'altro. Qualche esempio tra i tanti: se - in mancanza di testi - le gemme strumentali di Slon, del Chicago Underground Trio, sviluppato durante l'European No War Tour potrebbero far «solo» da tappeto sonoro, Phil Kline in Zippo Songs, costruito sulle frasi che i soldati incidevano sui loro accendini (zippos) durante la guerra del Vietnam, infila tre Rumsfeld Song, montaggi di discorsi - i famosi briefing - del potente segretario della difesa Usa: «Come sappiamo, ci sono conoscenze conosciute. Ci sono cose che noi sappiamo che sappiamo. Sappiamo anche anche che ci sono conoscenze conosciute. Ovvero noi sappiamo che ci sono alcune cose che non sappiamo. Ma ci sono anche sconosciute ignoranze, quelle che non sappiamo di non sapere».

Il tema della guerra e la politica della guerra e le bugie sulla guerra fanno viaggiare insieme le strategie portanti in vista dell'Election Day e la presa di posizione artistica.

Quanto - qui da noi - i contenuti della recenteViva La Vida dei Modena City Ramblers, che il 20 marzo scorso ha percorso in lungo e in largo le strade di Roma, sarebbero in grado di coagulare le energie del popolo dei movimenti e del mondo politico più istituzionale? Ovvero: «Politicanti, gente che tace/tempi di guerra ma in un tempo di pace/tempi moderni da consumare/segui adesso il ritmo, questo è il tempo di saltare». E ancora: «Non è più tempo di lamentarsi/e di chiamare pubblici gli affari privati/non è più tempo dei moderati/sempre fermi al centro senza voglia di cambiare». Oppure il respiro corto di una vittoria elettorale avrebbe riflessi da tifo, quelli colti e perfidamente sottolineati da Frankie Hi-Nrg? In tal caso gli stessi MCR ci offrirebbero un'adeguata El Presidente: «Il suo volto per la strada è sicurezza e garanzia/Di chi con i suoi uomini cammina sulla via/Del Miracolo Economico che trasmetterà/Il segno di El Presidente sulla società».

In un passaggio storico inedito, in cui un Festival di Sanremo governativo ha avuto un contraltare - molto più che musicale - a Mantova, cercasi nuovo inno a sinistra, dunque.

Questioni di correttezza ci inducono a ragionare - prima che scompaia del tutto, non solo dai cartelloni in strada - in termini di par condicio e a pensare: cosa può succedere a destra? Le cose qui parrebbero più complicate. Le divisioni interne alle forze della coalizione sembrano riverberarsi anche sull'eventuale scelta di un inno comune. Qualche penna maligna ha scritto di un Marco Masini vincitore di Sanremo dopo essere entrato «in quota» An (una voce meno perfida sulle simpatie del cantante è quella dello stesso Masini, ascoltabile all'indirizzo http://www.alleanzanazionale.it/an_ti_segnala/040110_masini.htm). Certo, sarebbe una bella cassa di risonanza, un «vincitore» affermatosi nel luogo mediatico più nazionalpopolare del Paese. Ma farebbe gioco a Fini & Co.(lonnelli) utilizzare Masini? C'entra la superstizione, è vero: immaginate La Russa sul palco di qualche comizio/convention che presenta il cantante toscano con una mano mentre l'altra scende laggiù perché non-è-vero-ma-non-si-sa-mai. Ma il vero problema è un altro. Gioverebbe, non solo al risultato, ma al morale della truppa, andare a rovistare le possibilità di un inno tra titoli come Disperato, Vaffanculo, Bella Stronza? Per Forza Italia la soluzione è più semplice: l'inno è lì, bello e confezionato, scritto appositamente poco più di dieci anni fa, contiene frasi senza tempo - «è tempo di credere», sempre, oggi come e più di allora - ed è stato testato, qualora ci fosse bisogno anche lì di una verifica, alla festa per il decennale della creatura azzurra. Tutto a posto, tutto come allora, il cavaliere a dirigere e tutti a cantare appassionatamente, con l'aria di chi «azzurro un fiore in petto ci è fiorito/una fede ci è nata in cuor». La Lega non ha tempo per queste cose e va per le spicce col suo refrain su Roma Ladrona. Buttiglioni non pervenuti. Il «nostro» Mastella l'ha risolta esibendosi direttamente sul palco dopo-sanremese del Porta a Porta vespiano. Lui è l'inno di se stesso, insomma.

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