VISIONI

I conservatori della radicalità

LORRAI MARCELLO,VENEZIA

SSi chiama The Tradition Trio, ma se tradizione c'è, non è altro che quella gloriosa dell'avanguardia. La musica di Alan Silva, Johannes Bauer, Roger Turner, è improvvisazione della più bell'acqua: che al Teatro Fondamenta Nuove, nell'ambito della rassegna «Risonanze 2004» si distende prima in una lunga sequenza, poi anima due episodi più brevi, infine illumina una scheggia come bis a furor di pubblico. Sala quasi al completo e peccato per chi è rimasto a casa, come qualche vecchio appassionato che ha disertato quando ha saputo che Silva non avrebbe suonato il contrabbasso, lo strumento grazie al quale è già da qualche decennio consegnato alla storia del jazz per il suo lavoro nell'era free accanto a personaggi come Sun Ra, Bill Dixon, Albert Ayler, Cecil Taylor, Archie Shepp, ma il sintetizzatore, che predilige dall'inizio degli anni novanta, quando è rientrato in attività dopo essersi per qualche tempo tenuto lontano dalle scene.

Magari alla tastiera non sarà un virtuoso, ma a sessantacinque anni Silva continua ad essere un catalizzatore e una forza musicale: negli ultimi anni ha anche rinnovato i fasti della Celestrial Communication Orchestra, protagonista a cavallo fra sessanta e settanta di non dimenticate (e recentemente ristampate) incisioni parigine per la storica etichetta Byg/Actuel, con apparizioni orchestrali a New York e in Europa (nel 2001 all'elvetico Uncool Festival di Poschiavo, partecipazione documentata da un eccellente cofanetto di Cd).

Il Tradition Trio con Bauer, figura di spicco dell'improvvisazione europea, e Turner, risale appunto agli anni della rentrée di Silva: fra situazioni interessanti e begli impasti di suoni, nella musica si avverte la disinvoltura di un sodalizio rodato, e un clima amicale che favorisce senza problemi una ripartizione dei compiti che si risolve in una musica forse meno «orizzontale» e paritetica di quella di altre esperienze di improvvisazione «radicale».

Essenzialmente rumoristico, il ruolo di Silva non è molto appariscente. Non si allarga neppure Bauer, che col suo trombone non indulge al protagonismo, e con elegante parsimonia illumina il tessuto creato da Silva e da Turner. I suoni del sintetizzatore e della batteria si sposano a meraviglia, ma si rischia quasi di dimenticarsi che a produrli è anche Silva: è infatti Turner a monopolizzare l'attenzione, e i motivi non mancano. Così come non mancano, vedendolo e ascoltandolo, quelli per stupirsi del fatto che quando si parla di maestri della percussione radicale europea, in generale si facciano i nomi storici di Tony Oxley, Han Bennink, Paul Lytton, Paul Lovens, Gunter Baby Sommer, ma non il suo, che pure è nel giro della musica innovativa dagli anni sessanta (inglese, Turner oltre che nell'ambito improvvisativo è stato in contatto con il rock progressivo e non solo: molto ammirato da Annette Peacock, ha lavorato con la cantante dall'83 all'87).

Roger Turner è una gioiosa macchina da percussione. Non solo perché è un batterista poderoso, energetico, instancabile. Ma perché, anche se con un andamento frammentario, coerente con un'impostazione appunto da batterista «radicale», nel suo drumming si affacciano di frequente spezzoni di esplicita regolarità ritmica, che eseguiti con estrema velocità e destrezza, con assoluta precisione, assumono un carattere che fa persare a qualcosa di «macchinico». I suoni di Turner sono a volte anche estremamente sottili, ma in sequenze rapidissime, a perdifiato, con prevalenza dei timbri metallici, taglienti, dei piatti e di qualche altro aggeggio aggiuntivo: l'effetto è in molti momenti quello di suoni artificiali, sintetici, e in questo si incontrano perfettamente con il sintetizzatore. L'elemento base del percussionismo di Turner è in definitiva il rullo, e in questo c'è una affinità con un'altra figura di riferimento come Bennink, anche se con una poetica profondamente diversa. Come quello di Bennink, il drumming di Turner istituisce una dialettica tra il godimento del non convenzionale e il piacere della regolarità ritmico-timbrica, quella che ha uno dei suoi riferimenti più carichi di suggestione nel tamburo militare, dalla cui tecnica è partito Bennink: ma con un intreccio più fitto e un flusso più stordente rispetto a quello dell'olandese. Chissà se a un fondamentalista dell'anarchia improvvisativa come Oxley vanno a genio i momenti di regolarità di Turner ? C'è da scommettere di no. Bennink, con deliziosa ambiguità, si abbandona (e lascia che gli ascoltatori si abbandonino) al piacere del rullo contrabbandandolo come ironia: Turner invece lo inserisce senza alibi nello sviluppo del suo discorso. Forse è per questo carattere favolosamente e apertamente spurio del suo drumming che Turner è così poco ricordato come grande batterista «radicale» europeo. Al contrario di un Bennink frenetico nelle trovate, Turner tende ad una frenesia puramente percussiva, e mostra una continuità e un vigore, quelli di un classico «assolo» che però dura all'infinito, che inchiodano.

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