SOCIETÀ

«E' una via per l'abolizione»

INTERVISTA
BARRUCCI TIZIANA,FIRENZE

Il telefono del dottor Omar Abdulcadir non smette di squillare. «Cosa avrò mai fatto di male», si chiede spazientito, ma poi risponde cordialmente a tutti i giornalisti sempre raccontando la stessa storia. «Non mi aspettavo tutto questo rumore per una semplice dichiarazione di pensiero. La cosa è ormai sfuggita di mano e io ho deciso di non rilasciare più dichiarazioni, è stato questo il consiglio che è arrivato anche dall'amministrazione dell'ospedale». Reazione ancora più ferma quando si tratta di farsi fotografare per un settimanale: «per ora credo che sia meglio di no, la cosa non riguarda me, ma tutte le comunità», risponde calmo dal suo ufficio nel reparto di cure prenatali dell'ospedale di Careggi. Diverso il comportamento rispetto alle pressioni del manifesto, alle quali cede dopo alcuni dinieghi accettando di incontrarci: «così spiegate le motivazioni che mi hanno spinto a fare questa proposta».

Non pensa che nel praticare quello che lei definisce un rito alternativo all'infibulazione in sostanza l'Italia accetterebbe il principio che sta alla base delle mutilazioni genitali femminili?

Quando si resta soltanto sul livello dei principi non sempre si ottengono dei risultati. Noi siamo convinti che questa pratica debba sparire, ma non ci si arriverà mai condannandola tout court. In quasi tutti i paesi africani le leggi vietano l'infibulazione, ma questo non significa che essa non venga ancora praticata. E' ovvio che il nostro lavoro, come da sempre, sarà volto a cercare di informare e convincere donne e uomini dell'inutilità e dell'inumanità dell'infibulazione, ma ci sarà sempre chi non accetterà tale idea. L'integralismo esiste, non sono io a dirlo. Spesso è forte soprattutto tra chi ha abbandonato la propria terra ma deve dimostrare alle famiglie d'origine di non aver perso le antiche tradizioni. Credo che questa proposta, che mantiene il valore simbolico ma non l'aspetto pratico del rito, possa essere il passaggio verso l'abolizione totale.

Ma come possiamo noi in Italia accettare quella che per la nostra cultura occidentale è una violazione del corpo e della psiche femminile?

E' ovvio che non possiamo accettarla. Ma bisogna anche cercare di capire il valore che essa ha per chi la pratica. In molte culture rappresenta un elemento di orgoglio, è un vero e proprio canone di bellezza. Queste convinzioni sono difficili da estirpare.

Lei crede veramente che chi vuole far praticare su una bambina l'infibulazione possa accontentarsi di una pratica così diversa quale quella di una puntura del prepuzio?

La questione è a monte. E' ovvio che chi decidesse di accettare il rito alternativo ha già rinnegato la pratica della mutilazione in sé, anche se non è ancora tra coloro che ne capiscono l'inutilità.

La critica maggiore alla sua proposta è che è stata firmata solo da uomini.

In tutte le comunità, anche in Italia, chi decide sono ancora gli uomini. Ci sono donne impegnate nel sociale, donne che si battono per i loro principi, ma poi i capi comunità sono sempre uomini. Per questo hanno firmato loro.

Ma le donne hanno diritto di discutere una decisione che le riguarda così da vicino.

Sì, infatti stiamo facendo circolare un documento che molte donne stanno firmando. Nel testo si parla di «rito alternativo proposto alle famiglie quando appare evidente che ogni strategia educativa e di informazione si è dimostrata inutile». Ma si ricordi che sono proprio gli uomini quelli che più spingono per l'infibulazione. Quindi averli convinti ad accettare la proposta è una grande vittoria, perché in un certo senso siamo riusciti a far dire loro basta.



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