Qualche passo in avanti in direzione di una soluzione meno bieca di quella offerta dal triciclo ( uno di plastica troneggiava sul palco del convegno per irridere la proposta ) dalla due giorni convocata d'urgenza dai circa 170 comitati che fanno capo ai «girotondi», è stato compiuto. E a buon titolo, concludendo, Nanni Moretti ha potuto riprendere lo slogan dell'assemblea - «Facciamoci del bene» - dicendo: sì, ce lo siamo fatto. Il «bene» consiste tuttavia per ora solo nell'aver ridicolizzato la famosa lista per le elezioni europee, detta unica ma composta solo da Ds, Margherita e Sdi; di aver detto chiaro quanto fino ad ora era solo stato sussurrato, e cioè che il veto a Di Pietro poco aveva a che fare con il suo essere estraneo alla tradizione riformista, ma ben più concretamente con i processi dell'epoca di Mani pulite rispetto ai quali anche una parte della sinistra vorrebbe oggi voltar pagina ( le celebrazioni craxiane, da quelle promosse da Italiani Europei alle memorie di Fassino, stanno a provarlo ). Non è ancora affatto detto tuttavia che - sebbene una assemblea girotondina assai meno paziente del solito abbia costretto Fassino , Franceschini e Rutelli ad aprire più di uno spiraglio - essi decidano davvero di imbarcare Di Pietro (e il suo referendum sul lodo Schifani) ) e di coinvolgere la società civile nelle forme in cui i movimenti vorrebbero: non scegliendo qualche nome più illustre per assumerlo come fiore all'occhiello delle proprie liste - ché questo cercheranno sicuramente di farlo - ma avviando un vero e diffuso confronto dal basso su contenuti programmatici, modi di far politica, rappresentanza complessiva. Quello che Occhetto, vero eroe della due giorni, ha chiamato «processo costituente» del nuovo Ulivo, dando a una formula che era nata con connotati di destra (la sparizione persino di quel che restava dei partiti storici della sinistra, per dar vita ad una sorta di indeterminato partito democratico americano) un significato che l'assemblea ha sposato a modo suo: un soggetto assai più radicale non solo del centro sinistra ma degli stessi Ds, preoccupato ben più di raccogliere la disaffezione di nuovi e vecchi elettori di sinistra candidati all'astensione per l'appiattimento dell'immagine offerta e la rinuncia a combattere di questi anni, che non del timoroso centro moderato. In somma, il contrario di D'Alema.
Occhetto, per parte sua, ha ben cavalcato la tigre e alla fine è risultato che l'insofferenza dell'inventore della Bolognina ( e di molti diessini suoi sostenitori di allora) per l'attuale leadership del partito (e viceversa) ; e anche - diciamolo pure - le lezioni di questi anni e le spinte dei movimenti, hanno notevolmente modificato la sua originaria strategia iperulivista che, non dimentichiamolo, aveva fra i suoi più stretti alleati uno come Mario Segni. Sia nei contenuti, sia nella forma: oggi egli parla di una coalizione, entro cui ciascuna forza conservi la propria identità ma accetti di devolvere un pezzetto della propria sovranità per realizzare un patto di governo.
Quanto a Rifondazione comunista, anch'essa invitata al confronto, si è gentilmente sottratta: non più il mal dissimulato disprezzo delle origini per il girotondismo - tanto è vero che Bertinotti ha inviato una saggia lettera buona ma distaccata come quella di babbo natale - ma nemmeno interesse a un vero confronto. Il leader del Prc ha preferito andare a Berlino a fondare un soggetto europeo chiamato nuovo ma che in realtà mette assieme vecchissimi partiti comunisti in grave crisi che già lavorano assieme da decenni nel gruppo parlamentare europeo ( il Gue, Gauche Unitarie Europeenne ), e nessun altro l'ha sostituito al Teatro Vittoria. Peccato per tutti.
Non bisogna farsi trarre in inganno dai nomi più noti, già spesso in campo in passato (anche se i tempi che viviamo hanno fatto sì che il moderatore annunci fra i presenti in sala da omaggiare, i loro due nomi accoppiati, il vecchio professor Sylos Labini e Stefania Ariosto). Questi «ceti medi riflessivi», come sono stati chiamati, vengono soprattutto dalla provincia cittadina, da quell'Italia appartata fatta di Sulmone, Castelfranchi Veneti, Casali Monferrato, Asti e così via, che la crisi dei partiti ha lasciato ancora più sola, più emarginata dalla politica, di cui nei capoluoghi regionali si sente almeno il rumore. Sono in genere orfani delle vecchie formazioni che nel loro rinsecchirsi in lobbies istituzionali hanno lasciato un deserto che i più giovani hanno cercato di popolare con le nuove forme di lavoro politico - il volontariato, il terzomondismo, la cultura alternativa, tutto quell'arcipelago di attività che si ritrova nei no global - e i quaranta-sessantenni,i girotondini appunto, hanno rianimato di nuove forme di impegno. Etico ancor più che politico, perché l'indignazione per quanto accade è la molla essenziale e sacrosanta della loro azione, spesso efficacissima. I nomi dei 170 comitati sono del resto indicativi: «Alzati e cammina», «Se non ora, quando», «Chi ci sta ci sta», «Pane e rose». Ma anche «Ancora a sinistra» (l'accento si può mettere sui due diversi punti), sebbene il termine sinistra corra poco nei discorsi, forse più per pudore e/o scaramanzia che altro.
Sono stati tutti - lo si capisce parlandoci, o perché una larghissima parte li consosciamo - elettori se non militanti del Pci, non pochi del Pdup o delle altre organizzazioni nate dal `68. Però l'obiettivo di ricostruire una forza della sinistra, unitaria e adeguata, non sembra ai più all'ordine del giorno, sia perché impensabile sia perché la priorità va alla coalizione che potrà battere Berlusconi. Dopo quasi 15 anni di scioglimento del Pci, del resto, le culture sono cambiat; gli stessi no global, che pure amano spesso autodefinirsi comunisti, poco hanno a che vedere con quella storia e anche da loro la parola «sinistra» viene assai poco usata: un po' perché ormai troppo generica, un po', anche, perché tanto forte è diventata la presenza cattolica.
Cosa è mai, dunque, questo nuovo soggetto vagheggiato, questa richiesta di rappresentanza che emerge nel paese e non trova risposte nei partiti dati? Dal punto di vista dei contenuti dall'iniziale protesta centrata soprattutto sul conflitto di interessi di Berlusconi la maturazione è stata importante, sicchè da tutti i rappresentanti dei comitati selezionati per porre ai leader dei partiti le loro domande sono emersi almeno quattro punti chiari: 1) ritiro delle truppe italiane dall'Irak; 2) denuncia delle nuove povertà, disuguaglianze, precariato prodotte dal neoliberismo e sostanziale allineamento sulle rivendicazioni della Cgil; 3) cittadinanza agli immigrati; 4) revoca di tutte le leggi vergogna dell'epoca berlusconiana.
Sono punti, come è noto, sui quali le forze che si vorrebbero unire contro l'attuale governo hanno posizioni diversissime (con ironia, facendo finta di prender per buone le affermazioni che i leader dei partiti avevano fatto dal palco, lo ha fatto capire Lidia Ravera). E allora cosa può essere mai l'Ulivo se restano diversità così profonde su temi di tanta importanza? La richiesta di unità che è salita dal teatro Vittoria è sembrata spesso sottovalutare questo problema che non è certo di dettaglio e su cui è certo che giocheranno quelli che vogliono il partito riformista o quello ulivista o una nebulosa frantumata in cui il solo a poter decidere potrà essere Prodi e in cui ad ogni modo si smarrirà il ruolo di una forza di sinistra.
Quel che è netto è comunque, ed è già molto, è il rifiuto di una coalizione che faccia ruotare i più piccoli come satelliti attorno al sole del triciclo. E soprattutto resta il problema che qui viene chiamato del coinvolgimento della società civile, che spero non sia ridotto all'immissione di scrittori poeti ed attori nelle liste, esperienza già consumata dal vecchio Pci con i famosi indipendenti di sinistra. «Società civile» è, come è noto, un termine così abusato da confondere. Forse sarebbe più esatto se si dicesse: come è possibile rifondare uno o più partiti della sinistra sì da renderli profondamente diversi da quello che sono diventati e quindi in grado di colmare il vuoto di rappresentanza che si è creato?
Certo, i partiti per essere vitali, debbono esser costantemente bombardati dai movimenti.Anche sepolti, quando sono morti. Ma santiiddio, poi, ad un certo momento, occorre rifarli se si vuole che cresca una cultura comune, che si compia il grande sforzo dell'ascolto delle ragioni dell'altro, che ci si educhi a mediare fra interessi non sempre lineari, a ragionare sugli obiettivi immediati e quelli a medio termine, sugli avversari principali e secondari, ad aver fiducia in qualche, essenziale delega. In qualche modo queste cose alla fine le ha indirettamentedette fatte notare Pardi,sottolineando il carattere processuale e complesso della costruzione dell'unità, anche se non acceterebbe mai di parlare della necessità dei partiti, per un buon tempo storico una brutta parola.