IL TESTIMONE

La ragione ultima del diritto

FERRAJOLI LUIGI,ITALIA

Non è possibile esprimere in poche righe ciò che Norberto Bobbio ha rappresentato nella cultura giuridica e politica, non soltanto italiana. Nella sua lunga vita e con la sua sterminata produzione, Bobbio ha contribuito, più d'ogni altro intellettuale italiano del Novecento, alla rifondazione e allo sviluppo di interi settori disciplinari: dalla teoria generale del diritto alla filosofia giuridico-analitica, dalla metodologia delle scienze sociali alla logica deontica e all'analisi del linguaggio normativo, dalla storiografia del pensiero politico alla filosofia politica e alla teoria della democrazia. Soprattutto, egli è stato, per molte generazioni di studiosi, un maestro e un modello di vita, avendo coniugato in maniera esemplare rigore, onestà e severità intellettuale, impegno civile e passione politica. C'è tuttavia un solido filo conduttore, a me pare, che attraversa l'intera vita di studioso di Bobbio e la sua multiforme produzione. Questo filo conduttore è stato il nesso razionale, teorico e pratico, da lui costantemente istituito, nella sua opera di filosofo del diritto come in quella di filosofo della politica, tra democrazia e diritto, tra diritto e ragione, tra ragione e pace, tra pace e diritti umani.

Innanzitutto il nesso razionale tra democrazia e diritto. Bobbio non ha mai pensato che il diritto e le istituzioni siano valori intrinseci, fini a se stessi. Il diritto positivo, ci ha insegnato, non implica la giustizia né tanto meno la democrazia, ben potendo, purtroppo, essere sommamente ingiusto, illiberale e antidemocratico. E tuttavia non vale, secondo Bobbio, la non implicazione inversa. La giustizia, le libertà e la democrazia implicano necessariamente il diritto. Può ben esserci, ovviamente, diritto senza democrazia, ma non può esserci democrazia senza diritto. Giacché la democrazia è un insieme di regole - le «regole del gioco» democratico come egli le ha chiamate - e queste regole sono regole giuridiche: non qualunque regola, ma le regole costituzionali che assicurano il potere della maggioranza e insieme i limiti e i vincoli imposti a questo potere a garanzia della pace, dell'uguaglianza e dei diritti umani. Per questo Bobbio è stato sempre inviso alla destra e più che mai all'attuale destra di governo, che ha fatto del disprezzo delle regole e dell'assenza di limiti e vincoli ai poteri economici del mercato e ai poteri politici della maggioranza la sua bandiera ideologica.

Il secondo nesso istituito da Bobbio è quello tra diritto e ragione. Se la democrazia è anche una costruzione giuridica, essendo il diritto lo strumento necessario per modellare e garantire le istituzioni democratiche, è vero ancor prima, secondo Bobbio, che il diritto è una costruzione razionale, essendo la ragione lo strumento necessario per progettare ed elaborare il diritto. C'è un passo bellissimo di Bobbio, nella sua Introduzione del 1948 al De Cive di Hobbes, che esprime questo nesso nella maniera più limpida: «la filosofia civile, come la geometria - scrive Bobbio a proposito di Hobbes - rivolge la propria conoscenza ad un oggetto che noi stessi produciamo». E «in che senso si può dire che noi produciamo l'oggetto della filosofia civile o, con le parole stesse di Hobbes, formiamo lo Stato? Lo Stato, risponde Hobbes, non è per natura ma per convenzione. Appunto perché soddisfa ad un'esigenza elementare dell'uomo, sono gli stessi uomini che lo vogliono». E' questo il tratto illuministico e giuspositivistico della filosofia giuridica e politica di Bobbio. La sua teoria del diritto e della democrazia è una «teoria di ragione» perché il diritto, egli dice, non è mai un'entità naturale, bensì un artificio, frutto della politica e della teoria, ed è come lo interpretiamo, lo difendiamo e, prima ancora, come lo pensiamo, lo progettiamo, lo costruiamo e lo trasformiamo.

Il terzo insegnamento di Bobbio riguarda il nesso tra ragione e pace. Anche la pace, scrive Bobbio all'indomani della tragedia della seconda guerra mondiale è, come il diritto, una costruzione artificiale: «mentre la guerra - egli scriveva a commento del pessimismo hobbesiano - è il prodotto di un'inclinazione naturale, la pace è un dettame della retta ragione, cioè di quella facoltà che permette all'uomo di ricavare certe conseguenze da certe premesse o di risalire ai principi partendo da certi dati di fatto». E il cosiddetto «stato di natura», egli aggiunge, non è affatto uno stato immaginario, un'ipotesi teorica o filosofica, ma è lo stato del mondo contemporaneo, quello della legge selvaggia del più forte e della guerra infinita, l'uscita dal quale «è il prodotto degli uomini stessi, e più precisamente della volontà degli uomini in quanto esseri ragionevoli; o se si vuole della volontà razionale dell'uomo». Sicché della pace, come del diritto e della democrazia, portiamo tutti la responsabilità: come filosofi, come giuristi, come cittadini.

Ma come si costruisce e si garantisce la pace? Si costruisce, risponde Bobbio, mettendo in atto il quarto nesso qui ricordato: cioè garantendo i diritti umani - il diritto alla vita, le libertà fondamentali, i diritti sociali alla sopravvivenza - le cui violazioni in tutto il mondo sono la principale causa della violenza, delle guerre, del terrorismo. E' un monito niente affatto utopistico, ma lucidamente realistico ed oggi più che mai attuale, che Bobbio ripeteva ricordandoci le parole con cui il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani identifica nella tutela dei diritti umani «il fondamento della pace nel mondo» e la sola strada da imboccare «se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione».

Certo, scrive Bobbio richiamando un altro suo autore, Emanuele Kant, il progresso «non è necessario», ma «soltanto possibile». Ma esso dipende anche dalla nostra fiducia in questa «possibilità» e dal nostro rifiuto di dare per scontate «l'immobilità e la monotona ripetitività della storia». «Rispetto alle grandi aspirazioni dell'uomo» formulate nelle tante carte e dichiarazioni dei diritti, egli avverte, «siamo già troppo in ritardo. Cerchiamo di non accrescerlo con la nostra sfiducia, con la nostra indolenza, col nostro scetticismo. Non abbiamo tempo da perdere. La storia, come sempre, mantiene la sua ambiguità procedendo verso due direzioni opposte: verso la pace o verso la guerra, verso la libertà o verso l'oppressione. La via della pace e della libertà passa certamente attraverso il riconoscimento e la protezione dei diritti dell'uomo... Non mi nascondo che la via è difficile. Ma non ci sono alternative».

Sono questi quattro nessi, io credo, che formano l'insegnamento più prezioso di questo nostro grande Maestro: la ragione principale del suo fascino e dello straordinario ruolo civile e politico, e non solo culturale, da lui esercitato per oltre mezzo secolo nell'affermazione e nella difesa dei valori della libertà, della giustizia e della democrazia. Bobbio è stato un pensatore pessimista, che realisticamente ci ha sempre ricordato la «contraddizione drammatica» tra quella «rivoluzione permanente» che è il progresso tecnico-scientifico e il nostro persistente «analfabetismo morale». E certamente, di fronte alla crisi che stann attraversando non solo in Italia lo stato di diritto e la democrazia, alla crescita esponenziale della disuguaglianza e della fame nell'odierna «età dei diritti», al ricorso alla guerra con cui i capi dell'Occidente si illudono di governare il mondo e di esorcizzare la loro misera inadeguatezza, non possiamo avere nessuna certezza intorno al nostro futuro. Non possiamo sapere, come Bobbio ci avverte nel Congedo con cui si chiude la sua Autobiografia, «verso quale direzione sia destinata a procedere» la storia umana: se verso una crescita della disuguaglianze, della povertà, dell'emarginazione, dell'oppressione e dell'apatia politica, o verso forme di democrazia internazionale fondate sulla garanzia della pace e dei diritti umani nei riguardi degli Stati e dei tanti poteri vecchi e nuovi.

«Se non avessimo imparato dal marxismo - scrisse Bobbio quarant'anni fa - a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità privata, o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni». Ma proprio nel fallimento di quella grande speranza del secolo che è stato il socialismo realizzato Bobbio vide la conferma del suo insegnamento intorno al nesso tra democrazia e diritto. Giacché quel fallimento fu dovuto anche al disprezzo del diritto - e dei diritti - quale tecnica di limitazione, di controllo e di regolazione del potere; al sopravvento, in altre parole, di quell'antica e ricorrente tentazione che è il «governo degli uomini» in luogo del «governo delle leggi».

Di questo insegnamento siamo tutti debitori a Norberto Bobbio, che ad esso ha dedicato tutta la sua vita di filosofo militante. Nulla ci garantisce, scrisse Bobbio, sul futuro della pace e della democrazia. Ma egli ci ha insegnato che nella costruzione della democrazia e della pace non esistono alternative al diritto; che nella costruzione del diritto non esistono alternative alla ragione; che questa ragione, infine, è essenzialmente la ragione e «il punto di vista degli oppressi», titolari di quei diritti violati e destinatari di quelle «promesse non mantenute», come Bobbio le ha chiamate, nelle quali pace e democrazia consistono.

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