VISIONI

«Route 181», la strada della pace

DI GIORGI SERGIOMILANO

La «Route 181» è una strada immaginaria, che segue i confini virtuali tra Israele e Palestina tracciati dalla risoluzione Onu 181 del 29/11/'47. A percorrerla davvero hanno pensato, per due lunghi mesi nell'estate del 2002, il caposcuola del «nuovo cinema palestinese», Michel Khleifi (Nazareth, `50) e Eyal Sivan (Haifa, 1964), documentarista israeliano tra i più lucidi e coraggiosi, che in numerose opere, a partire dall'87, ha testimoniato la tragica condizionedei palestinesi e ha indagato senza riserve la memoria e i tabù della sua cultura (è suo Uno Specialista, sul processo Eichmann). Nonostante la differenza d'età e dei percorsi professionali, entrambi hanno dovuto scegliere giovanissimi la strada dell'autoesilio (in Belgio Khleifi, in Francia Sivan). Il risultato del loro improvviso incontro artistico e produttivo è l' emozionante roadmovie Route 181, Fragments d'un voyage en Palestine-Israel, video di 4 ore e mezza diviso in tre tappe: il sud, dalla città portuaria di Ashod all'intera striscia di Gaza; il centro, dalla città arabo-israeliana di Lod e tutt'intorno a Gerusalemme; il nord, da Rosh' A'aiyn, costeggiando i confini, questi drammaticamente reali, del muro di separazione innalzato dagli israeliani, e sino alla frontiera col Libano. Le prime due parti del viaggio saranno mostrate a Milano sabato 10 e domenica 11 gennaio (con parziale replica alla cineteca di Bologna, il 12), nel corso di un'iniziativa di incontro e riflessione sulle prospettive nella regione, promossa da Casa della Cultura, Anteo e Bollati Boringhieri. Oltre ai due registi saranno presenti infatti lo storico palestinese Rashid Khalidi e l'esponente della sinistra radicale israeliana Michel Warschawski, che presenteranno i rispettivi libri (appena editi da Bollati Boringhieri): L'identità palestinese e A precipizio: la crisi della società israeliana. «A proposito di confini, muri, frontiere, identità nazionali... » è il titolo appropriato scelto dagli organizzatori, e in quei puntini di sospensione vi è ancora uno spazio e un tempo disponibili - nonostante la tragica urgenza degli eventi - per ragionare insieme, intrecciando l'analisi storico-politica con quella sul ruolo sempre più decisivo che l'immagine filmica può svolgere nell'area (come dimostrano le opere di un numero crescente di cineasti che dai due versanti del conflitto, e in piena consonanza d'intenti e sensibilità, stanno raccontando la ricchezza e la complessità di una resistenza del quotidiano). Se in passato il cinema ha offerto il pretesto per collaborazioni più «improvvisate» tra registi delle due parti (si pensi a Warand Peace in Vesoul di Gitai-Suleiman), il progetto di Route 181 di Khleifi-Sivan nasce da consapevolezza e progettualità comuni: «ciò che proponiamo oggi non è un film dal doppio sguardo, ma uno sguardo comune a partire da due visioni complementari». Un percorso compiuto praticamente «in incognito», senza scaletta né incontri programmati con «personalità», che segue il ritmo narrativo imposto dal paesaggio e dagli sbarramenti e il filo casuale degli incontri con israeliani e palestinesi «anonimi» che parlano della loro vita e della loro memoria privata e che esprimono il proprio punto vista su quanto accade intorno; pur rappresentando diverse generazioni, culture e classi sociali (ingegneri, mercanti, benzinai, artisti, direttori di museo, studenti, pionieri dei kibbutz, ecc.), tutti incarnano il multiforme «puzzle identitario» arabo-ebraico, intrico oppressivo di culture e religioni cui Khleifi aveva dedicato nel `95 l'intenso documentario Mariages interdits en Terre Sainte (per poi dedicarsi. forzatamente, al teatro e all'insegnamento). Ma proprio per la sua «semplicità», un simile progetto è forse quanto di più radicale possa essere pensato oggi in quella terra. Non a caso nei mesi scorsi Eyal Sivan (già minacciato) si è visto recapitare una busta piena di pallottole: mittente i gruppi ultrasionisti attivi in Francia.

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