VISIONI

Ai Maori non piace il picnic

TERZIANI SABINA,NUOVA ZELANDA

Proteste natalizie agli antipodi. Cosa fanno le famiglie italiane a Natale? Si riuniscono in casa e accendono (chi ha un camino) un fuoco. Cosa fanno le famiglie neozelandesi a Natale? Si riuniscono in spiaggia e accendono (tutti) un fuoco. Certo, qualsiasi festività è buona per tirare fuori delle postazioni superaccessoriate semiprofessionali per la cottura dei cibi all'aria aperta, o per aprire dei bei grassi cestini da picnic sulla spiaggia, ma è a Natale che questa passione - l'altra passione nazionale dopo il rugby - si scatena seriamente. Quest'anno però, il rito del picnic natalizio potrebbe essere funestato dalle iniziative antagonistiche di quei neozelandesi che si considerano più neozelandesi degli altri: i Maori. La proposta fatta da alcuni iwi (clan Maori) di impedire l'accesso a spiagge dell'isola del nord come la popolare, infinita Ninety Mile Beach piantando recinzioni, o formando cortei e picchetti di protesta per le strade della penisola di Coromandel, altra popolare meta turistica, si profila sempre più come una minaccia capace di mettere in crisi il governo Labour di Helen Clark. Anzi, sembra proprio la questione più importante che il governo si sia trovato ad affrontare in quattro anni di vita.

La disputa ha avuto origine la scorsa estate, il 20 giugno, con una risoluzione della Corte d'appello neozelandese che ha sancito il diritto delle comunità Maori a reclamare l'uso delle spiagge e dei fondali per consuetudine storica. A partire da quel momento le comunità hanno ritenuto di poter riottenere la proprietà di certe zone costiere. Il ministro per gli affari Maori Tariana Turia in un recente discorso, immediatamente criticato da Helen Clark, si è spinta fino a sostenere che i non - Maori (tauiwi), cioè la maggioranza dei neozelandesi, sono immigrati.

Se si pensa che la presenza umana in Nuova Zelanda risale a non più di mille anni (dato comunque controverso), il concetto di immigrazione diventa molto relativo. Per tornare alla risoluzione, il governo ha replicato affermando che le zone costiere sono di proprietà della Corona, il loro uso è di rilevanza nazionale e quindi l'accesso è pubblico. Ad agosto, questa posizione ha assunto caratteri più definiti, pur mantenendosi in una indecisione che non poteva non agitare ancor più gli animi Maori.

In pratica, secondo i piani del governo, le spiagge e i fondali rimarrebbero di dominio pubblico, ma le rivendicazioni Maori potrebbero avvalersi di uno strumento, tanto inutile quanto garantista: un tribunale (Maori Land Court) con la capacità di identificare le richieste e negoziarle a titolo individuale con la Corona, ma non di garantirle legalmente. Il governo è anche disposto a fare di più: ha creato una commissione viaggiante che esaminerà le richieste e le raccomanderà al tribunale di cui sopra. L'interesse per i fondali e le spiagge è ovviamente economico, oltre ai diritti morali e di consuetudine. E' infatti in gioco l'industria dell'allevamento dei molluschi, e l'ambiguità del termine «spiagge» per tutti coloro che vivono dell'allevamento può significare buoni profitti così come grosse perdite. E' scesa in campo la «federazione acquacoltori» (Federated Farmers) rappresentata da Tom Lambie chiedendo se per «spiagge» il governo intende lo spazio tra il punto estremo raggiunto dalla alta marea una volta all'anno e il punto raggiunto dalla bassa marea, o se invece ci si riferisce all'area più ristretta, che viene coperta e scoperta quotidianamente dalle maree. Ovviamente nel primo caso il danno economico sarebbe più consistente.

Al cuore della questione c'è il significato pratico del termine «proprietà». In senso convenzionale, essere proprietari comporta il diritto di escludere altri dall'uso di un bene e il diritto di venderlo liberamente. I Maori godono già di una sorta di usucapione di vaste zone dell'entroterra, che in pratica è un diritto morale a tramandare un legame simbolico con certe terre, ma anche a intervenire nella loro gestione. La soluzione migliore alla disputa, espressa in un recente editoriale del quotidiano moderato New Zealand Herald, sembra quella di estendere le consuetudini dell'entroterra alle coste, che così rimarrebbero protette dalle speculazioni dei privati, prevedendo delle concessioni a tempo determinato per lo sfruttamento commerciale dei fondali.

Il dibattito è in corso ed evidenzia spaccature profonde nel governo e nella società neozelandese, ma anche all'interno delle comunità Maori, tra estremisti e garantisti. L'integrazione tra i discendenti degli europei e i Maori continua ad essere in equilibrio precario.

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