SOCIETÀ

Minori, vittime senza tutela

BARRUCCI TIZIANA,ROMA

Quali sono stati i passi avanti nella lotta al traffico di minori? Come tutelare le vittime della tratta? Sono alcuni degli interrogativi centrali affrontati durante il seminario internazionale «Minori vittime di tratta: interagire per prevenire; interagire per tutelare. Il caso dei minori albanesi», i cui lavori si concluderanno oggi. Organizzato dal Vis-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, presso l'Istituto di Santissima Maria Bambina a Roma, la tre giorni ha visto la partecipazione di molti esperti italiani, insieme a greci e albanesi, impegnati nella lotta al traffico di esseri umani, riconosciuto dalle Nazioni unite come «delitto contro l'umanità», e in particolare della tratta dei minori provenienti dall'Albania. «Il nord e il sud del mondo sono confini che non possono continuare a esistere. Dobbiamo renderci conto che tutti hanno il diritto di far parte di un sistema che tuteli prima di tutto i diritti umani. Il business che ogni anno si realizza con il traffico di esseri umani, al secondo posto dopo quello della droga, deve essere fermato», ha sottolineato aprendo i lavori Antonio Raimondi, presidente del Vis. E sul diritto della vittima ad essere tutelata ha puntato l'accento Maria Grazia Giammarinaro, del Consiglio Europeo, per la quale «è necessario che tutti gli organismi internazionali prevedano delle normative che tutelino prima di tutto la vittima visto che essere presenti in un paese illegalmente perché costretti è ben diverso dall'aver scelto la clandestinità».

Nonostante le stime siano difficili da definire, certo è che gli under 18 non accompagnati che ogni anno arrivano in Italia sono migliaia: tra di loro le ragazze vengono spesso istradate alla prostituzione, soprattutto nei luoghi chiusi, mentre i maschi diventano preda dello sfruttamento del mercato del lavoro. Fetta numericamente minima rispetto ai flussi migratori degli adulti, questi ragazzi vanno a riempire i marciapiedi per chiedere l'elemosina o rubare i portafogli, o vengono inseriti nel giro della prostituzione omosessuale. Secondo stime del Comitato minori stranieri istituito presso il ministero del Welfare nel 2002 erano 23mila soltanto i cosiddetti «nanetti», i ragazzini tra gli otto e i quattordici anni che si aggirano per le nostre strade. Arrivano qui con modalità diverse, ma con uno scopo comune: fuggire dalla disperazione dei loro paesi d'origine. A volte sono consapevoli, altre vengono costretti, venduti dalle famiglie o rapiti e catapultati in realtà che non sanno gestire. Arrivano soprattutto dalla Romania, dal Marocco, dall'Albania. Anche se nell'ultimo periodo i flussi provenienti dal paese delle aquile si sono fortemente ridotti grazie alla collaborazione con l'Italia, a campagne di informazione e alla costituzione di centri di formazione e accoglienza al di là dell'Adriatico.

Le strutture preposte all'accoglienza sono molte, di ispirazione laica o cattolica, obiettivo aiutare il minore ad uscire dalla situazione di sfruttamento e lavorare per il reinserimento, o nel caso il minore volesse ritornare nel proprio paese, aiutarlo a farlo. Un lavoro faticoso, che però può essere anche fonte di grande business, come ha denunciato lo stesso Raimondi, per il quale addirittura «il 50 per cento di tali strutture, che ricevono finanziamenti dagli enti locali, ha come obiettivo primo quello di fare affari e nessun interesse a contrastare la tratta». Cosa vera in particolare per il centro di via Lassalle a Torino, un esperimento pilota - per ora unico in Italia - deciso dal comune Torinese per facilitare il rimpatrio dei minori che, secondo Valeria Ferraris, ricercatrice all'Università di Torino, «nella sostanza non porta alcuna modifica del fenomeno, se non quello di costare tanto».

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