VISIONI

Quel jazz così sconosciuto

ONORI LUIGI,ROMA

Tra danzabili campionamenti e raffinato jazz da camera, echi popolari e fluenti improvvisazioni di una solida all-stars si è svolto all'Alpheus il Festival Jazz Mitteleuropeo (9-10 dicembre): trentadue artisti, otto formazioni provenienti da Austria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria. Un'occasione rara per verificare lo stato di salute del jazz in paesi che vantano una lunga tradizione di ispirazione afroamericana; la Polonia è, per esempio, la maggior potenza jazzistica orientale, con una fiorente scuola nazionale ed una qualificata emigrazione musicale verso gli Usa. Prodotta dal viennese Music information center Austria, in collaborazione con le ambasciate, l'iniziativa vuole contribuire a colmare un vuoto informativo: si sa molto del jazz statunitense o francese e quasi nulla di altri scenari musicali; il jazz va, comunque, inquadrato in uno scenario più vasto, perché i concerti romani sono solo una delle iniziative attivate dai paesi membri della Piattaforma cultura della mitteleuropa. Nato nel 2002, questo progetto vuole stimolare lo scambio culturale tra i sei paesi del centro Europa e all'Italia - nel semestre della presidenza Ue - la Platform Culture Central Europe ha pensato di regalare una manifestazione jazzistica. Un omaggio gradito da un paese che vanta tanti jazzisti di valore ma che ha una politica culturale vicina allo zero nei confronti della musica di matrice afroamericana. Nella prima serata hanno suonato il gruppo del pianista polacco Kuba Stankiewicz, il quintetto ceco Visit of Music, l'ensemble austriaco N-Way, l'ungherese Mihály Borbély Quartet B ed il gruppo sloveno Samo Salamon Ornethology. Il secondo appuntamento ha messo in scena linguaggi davvero diversi. Per primo si è esibito il duo slovacco del chitarrista MatúÜ Jakabcic e del trombettista Juraj BartoÜ. Con il loro camerismo hanno suonato brani dalla morbida funkyness, elaborate riletture di melodie popolari, pezzi di Toots Thielemans e Benny Golson; affascinante l'interplay tra i due strumenti, lo swing sottinteso, il sottile giocare per linee solistiche sovrapposte. Li ha seguiti sul palco il sestetto Central european jazz connection, ensemble creato appositamente da musicisti presenti al festival che ha mostrato ottimo affiatamento, linguaggio mainstream piuttosto solido e buone individualità (il sassofonista sloveno Primoz Fleischman, il batterista austriaco Mario Gonzi). Ispirata la Winter Song del talentuoso pianista polacco Stankiewicz e la conclusiva Rhythm, in cui ha sfavillato la tromba di BartoÜ. Uno scenario sonoro futuribile e legato alle tendenze della contemporaneità giovanile hanno disegnato gli austriaci Gelee Royal, ibridandosi con due dj (Dj Shalom e Dj Zulee) ed interagendo con le riprese manipolate in diretta da Ste.fan. Il trio (Ulrich Drechsler, ance; Oliver Steger, contrabbasso; Alex Deutch, batteria) lavora su ritmiche dance, su linee ripetitive ed ipnotiche, su sonorità crude che immergono il linguaggio tenoristico di Sonny Rollins nel tecnologico e danzereccio Nu-Jazz.

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