VISIONI

Il ritmico Mali blues di Bouboucar Traoré

LORRAI MARCELLO,TORINO

Né un boubou tradizionale, né un abito elegante, o qualcosa d'effetto, come si conviene ad una star africana che sotto i riflettori tende sempre a dichiarare il proprio status anche attraverso il modo di vestire. Colpisce, di primo acchito, vederlo in scena semplicemente in jeans e giubbetto dello stesso tessuto, a cui sulla testa accompagna una coppola: gli danno un'aria dimessa, modesta. Decisamente strano per un artista africano, per di più di fama, per uno che precocemente ha visto entrare il proprio nome negli annali della musica moderna del continente nero. Di fronte ad un signore di una certa età come lui, non è facile immedesimarsi subito, e pensare che probabilmente quel completo di jeans lui non se lo sentirà indosso semplicemente come un abbigliamento pratico e di poco prezzo, e pazienza se l'impressione che fa è quella di una persona di pochi mezzi. Perché nel petto di Boubacar Traoré, che ondeggia sul palco pizzicando le corde della sua chitarra acustica, batte il cuore di un rocker, e i jeans sono la divisa dei suoi vent'anni, dei suoi anni sessanta, di quando Traoré imbracciava la chitarra elettrica e lo chiamavano blouson noir, di quando il Mali andava matto per il suo hit Mali Twist. In ogni caso di quattrini non ne ha fatti molti, Kar Kar (un soprannome che deriva dall'espressione bambara per indicare il dribbling: prima di diventare cantante, Traoré è stato anche un apprezzato calciatore). In patria, quando suona da solo, Boubacar Traoré ha l'abitudine di tenere un microfono per terra, per amplificare il ritmo tenuto col piede. Qui, per questa sua unica data italiana (ai tendoni di Ponte Mosca, nell'ambito della rassegna Dalle nuove musiche al suono mondiale), si è portato dietro un percussionista, che suona esclusivamente una calebasse, una di quelle grosse mezze zucche vuote che in Africa occidentale sono diffusissime come recipiente per l'acqua e il cibo. Il suo unico accompagnatore la percuote con le due mani a pugno, oppure sfruttando gli anelli che ha alle dita, o con una combinazione di pugno e dita anellate: col pugno ricava dalla calebasse un suono basso e profondo, una pulsazione quasi da discoteca, con le dita e gli anelli colpi secchi e incisivi, e le combinazioni delle due cose variamente operate con implacabile puntualità dal percussionista hanno un effetto modernissimo - una batteria elettronica non potrebbe fare di meglio - estremamente stimolante nell'accostamento con l'understatement della chitarra e del canto di Traoré. Molti brani sono affascinanti testimonianze, irresistibili nel loro candore, di declinazione maliana del blues, e più «blues», più terrosa, è a volte la voce, che in altri momenti si fa invece più aperta e melodiosa. Ma fra brani che si muovono sull'asse Africa occidentale-America nera, salta per esempio fuori una canzone spagnoleggiante, che sa di flamenco, e un'altra in cui fa capolino una cadenza che potrebbe essere partenopea, di una tarantella anche se tenuta implicita, non rotonda. Malgrado i trascorsi degli anni ruggenti, Traoré non sembra affatto un gran estroverso: ma forse è anche l'esistenza ad averlo segnato. Dal vivo la musica di Traoré appare sobriamente, pacatamente cordiale: in ogni caso meno severa che in (bellissime) incisioni degli ultimi anni, meno malinconica che nel suo album più recente, Je chanterai pour toi, che contiene la musica dell'omonimo film di Jacques Sarasin: il cui protagonista è del resto un Boubacar Traoré che percorre il Mali ripercorrendo il proprio passato. La nascita a Kayes, il successo fino al `68, l'anno della caduta di Modibo Keita, poi l'ostracismo di cui è vittima per aver abbondantemente celebrato il leader nelle sue canzoni, una piccola boutique e anche l'umile attività di coltivatore per tirare avanti, la resurrezione nell'87, quando una apparizione alla televisione lo riporta di prepotenza alla ribalta. Seguirà il soggiorno in Francia, come immigrato irregolare e semplice lavoratore. Nel film Traoré gira fra Kayes, Bandiagara, la capitale Bamako, e Niafunké dove ritrova Ali Farka Touré. E' la storia che racconta - per la verità facendosi molto pregare per aprire bocca - all'olandese Lieve Joris, che l'ha messa al centro del suo libro che come titolo porta un binomio da considerare ormai proverbiale, Mali Blues.

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