L'ultimo concerto del 27° Roma Jazz Festival si è concluso con il sassofonista Sam Rivers - una delle bandiere del jazz radicale anni Settanta - coinvolto dal trombettista e compositore Steve Bernstein nel progetto Diaspora Blues. E' una ricerca - culminata in un cd - sugli intrecci possibili tra musica liturgica ebraica e lezione sonora afroamericana. Vederli sul palco insieme è stato come assistere ad un abbraccio intergenerazionale ed estetico, dallo sperimentalismo al jazz dalle venature/connotazioni etniche. Segno inequivocabile dei tempi. Del resto la rassegna ha proposto jazz in accezioni multiple, dalla classicità degli Heath Brothers al nu-jazz del Nu Spirit Helsinki, senza schierarsi, perseguendo un'esplorazione panoramica per forza di cose incompleta. La serata è stata introdotta dal quartetto del polistrumentista e compositore Anthony Braxton, altro protagonista assoluto dei tardi anni Settanta. Rivers e Braxton in quel periodo hanno infuocato le platee italiane portando di fronte ad un pubblico giovane, curioso, onnivoro e militante una musica dalla forte urgenza espressiva ed innovativa. Sam Rivers fu acclamato ad Umbria Jazz nel 1976 mentre in contemporanea si contestava Stan Getz ritenendolo un musicista borghese (!!!); Braxton si esibiva in solo lungo tutto lo stivale e fu la neonata Black Saint nel 1978 a produrre uno straordinario album in duo con Max Roach (Birth and Rebirth). Allora i due suonavano nelle piazze, nelle scuole di musica, nei festival ancora embrionali percorsi dalle inquietudini giovanili; oggi vengono accolti nelle sedi musicali istituzionali come l'auditorium. Anche questo è un segno dei tempi, non necessariamente negativo. Di certo entrambi gli artisti hanno portato avanti la loro poetica con risultati ancora di eccellenza e non di semplice resistenza sonora.
Anthony Braxton, oggi cinquantottenne, si è presentato in quartetto con Kevin O'Neil (chitarra), Andy Eulau (contrabbasso) e Kevin Norton (batteria e percussioni). Ha eseguito un repertorio di standard riletto e rivissuto insieme a musicisti molto più giovani, figli e discepoli ideali. Alternando sopranino, soprano e sax alto, il musicista chicagoano ha operato un lavoro poco appariscente di destrutturazione, imperniato soprattutto sulla sua ora algida ora volutamente sfuocata sonorità, mentre il resto del gruppo si è mosso su binari piuttosto tradizionali. Il tutto rientra nel lavoro documentato con i vari album dedicati agli standard o al repertorio di Charlie Parker, Lennie Tristano, Thelonious Monk (omaggiato anche in quest'occasione) ed Andrew Hill. Questa, tuttavia, è solo una parte - forse la meno interessante - della produzione di Braxton che sta dando risultati di altissimo profilo a livello didattico (ha insegnato anche presso la Wesleyan University), teorico e compositivo (ha pubblicato una raccolta di scritti teorici, Tri-Axium Writings e vari volumi di note sulle proprie composizioni). A lungo trascurato dagli organizzatori italiani, Braxton è stato invitato anni fa a Pescara a presentare le sue musiche, elaborate anche secondo il concetto di Ghost Trance Music, una nuova fase della sua produzione. Del resto italiano è il suo discografo, Francesco Martinelli, che ha pubblicato nel 2000 per la Bandecchi & Vivaldi un volume davvero ricco (con bibliografia e riferimenti web). Il Braxton sul palco va, quindi, preso per quello che è: un aspetto di una maiuscola figura nel panorama contemporaneo.
Il recital di Bernestein (tromba e tromba a coulisse) insieme al trio di Sam Rivers (Doug Mathews, contrabbasso e clarinetto basso; Anthony Cole, batteria, sax tenore e piano) è stato più accattivante e coinvolgente. I brani composti dal trombettista - alcuni davvero pregevoli per soli fiati - hanno ora giocato su tempi liberi e sospesi, ora su ritmi e melodie tipici della tradizione liturgica ebraica. E' il concetto base della diaspora blues che cerca di connettere - con risultati alterni - gli esiti musicali della cattività africana con quella ebraica. Musica, comunque, seducente e un Sam Rivers (ha ottant'anni ) superbo soprattutto al sax tenore ma ha suonato anche flauto, sax soprano e il piano in un breve brano. Anche nel suo caso, Rivers dopo un periodo di eclissi (è stato sideman nei gruppi di Gillespie) ha prodotto degli album eccellenti per formazioni orchestrali (Inspiration, Culmination, 1999-2000), confermando ancora grandi capacità di scrittura ed improvvisazione.