POLITICA

Quando la verità fa scandalo

TERRORISMO
MANCONI LUIGI,ITALIA

Le dichiarazioni di Sergio Segio hanno suscitato scandalo. Evangelicamente, ma anche da qualsiasi altro punto di vista (intellettuale e critico), ogni scandalo andrebbe considerato salutare, in quanto occasione per superare conformismi culturali e pigrizie mentali. In questo caso, invece, ha prevalso l'anatema. Con toni e argomenti, da parte di alcuni, decisamente inaccettabili. Sinora, infatti, quell'argomento («taci, assassino») nei confronti di chi ha il passato di Segio era stato usato solo dalla destra. Ora si scopre che esiste, nella sinistra, una qualche vocazione non semplicemente forcaiola (lo si sapeva già: e da tempo), ma anche questurina. Non è un progresso. Tanto più che conosco personalmente Segio e so quanto grande e generoso sia il suo impegno contro l'emarginazione sociale e contro le condizioni in cui vive la popolazione carceraria. D'altra parte, a ben guardare, i motivi dello scandalo mi sembrano pretestuosi. Segio ha detto due cose: 1) le Br sono dentro e contro il movimento. In qualche modo, e in numero certamente irrisorio, si sono «infiltrate» nelle sue sedi e nei suoi percorsi di mobilitazione; 2) di conseguenza, il movimento ha la necessità di condurre una battaglia rigorosa per affermare l'illegittimità etica, storica e politica della lotta armata: e ne ha anche l'interesse.

Tale posizione è stata considerata, appunto, scandalosa. Io la considero appena esagerata: nel senso che amplifica più del reale e del dovuto un pericolo, che pure, in misura assai ridotta, esiste. E il direttore del manifesto, Riccardo Barenghi, nel rispondere a una lettera di Susanna Ronconi, ha testualmente «rivendicato» che il primo punto, ovvero l'infiltrazione nel movimento, era condivisibile: tanto da essere stato posto, prima che da Segio, da un editoriale di Gabriele Polo sullo stesso manifesto.

Allo stesso tempo, Barenghi scrive che Segio avrebbe affermato anche qualcosa di più: ovvero «una silente complicità di alcuni settori del movimento con il terrorismo». Rileggendo le dichiarazioni di Segio, di tale affermazione non ho trovato alcuna traccia. E, se vi fosse stata, l'avrei disapprovata perché non è questo, a mio avviso, il punto debole del movimento. L'ho detto e lo ripeto: i leader di Disobbidienti e Cobas hanno assunto posizioni di netta e inequivocabile condanna delle Brigate Rosse e di chi solidarizza con loro: e non vedo in alcun modo la «complicità» di (addirittura) «settori del movimento». Ma convengo con quanto ha affermato Marco Revelli: «Dal movimento non è ancora venuta una condanna esplicita della violenza (...). Di sicuro non è mai stata fatta una scelta netta a favore della nonviolenza come strumento di antagonismo politico». Questo è il nodo che va affrontato e risolto. E presto.

In un bel libro di Marco Fossati, appena edito da Bruno Mondatori, è stato ripubblicato il fondamentale articolo di Rossana Rossanda del 28 marzo 1978, a proposito dell'«album di famiglia» della sinistra. Ma ancora più interessanti, se possibile, risultano le repliche ostili di Antonello Trombadori e di Luciano Gruppi. Terribilmente istruttive, ieri come oggi.

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