Controindicazioni 03 stringe i denti e resiste. Gli incontri di improvvisatori - nati da un'idea di Mario Schiano - hanno superato grazie all'abnegazione degli organizzatori le difficoltà indirettamente create dallo sciopero generale e dalle improvvise defezioni di musicisti. Saltata la prima serata in diretta da Radiotre, venuta meno la presenza di Joelle Leandre, reso impossibile il recital della BandaRustica, si è comunque riusciti a condurre in porto tre serate. Alla sala Alfredo Casella dell'Accademia Filarmonica Romana (24-26 ottobre) i sei concerti hanno mostrato la sofferta coerenza dello storico festival (ad ingresso gratuito, sostenuto dal comune di Roma). In questa edizione difficile è tornato ad emergere il problema legato alla discontinua presenza del pubblico; si avverte, ormai, un vuoto generazionale tra gli estimatori dei linguaggi di avanguardia, appassionati che invecchiano senza che ci sia un significativo ricambio. Del resto chi chiede alla musica rassicurazioni e consolazioni, svago e intrattenimento non viene a Controindicazioni; chi ha altre e più profonde esigenze a volte non sa neppure che esiste questa rassegna. Sarà un tema - ampio e problematico - su cui riflettere.
La prima serata ha proposto il duo anglosassone Trevor Watts e Veryan Weston ed il trio statunitense What We Live. Watts (sax soprano, alto e tenore) è una figura di spicco della scena anglosassone, un musicista che guida la Celebration Band (ance e sezione ritmica) e l'ensemble Moiré Music (settetto con percussionisti africani). Weston, altro musicista d'avanguardia spesso documentato dalla Leo Records, è suo partner in numerosi contesti. Ciò che ha brillato nel concerto romano è stata la perfetta, simbiotica intesa tra i due musicisti ed il rispettivo suono, liberissimo nel fraseggio eppure intensamente radicato nel jazz. What We Live è una delle formazioni più longeve della scena west coast americana in ambito d'avanguardia: Larry Ochs (sax sopranino e tenore), Lisle Ellis (contrabbasso) e Donald Robinson (batteria) agiscono da anni come catalizzatori sonori nella Bay Area e Ochs è una delle colonne portanti del Rova Saxophone Quartet. La musica del trio contraddice alcuni dei luoghi comuni sul jazz di matrice improvvisativa: è attentamente strutturato e si evolve in una continua, spiazzante dinamica di situazioni sonore; ha al suo centro una forte componente ritmica incarnata da Robinson, batterista che si può paragonare per certi versi a Max Roach per il pensiero percussivo-costruttivo che scaturisce dal suo strumento. Ellis, dal canto suo, ha una magnifica ed ispirata voce strumentale mentre Ochs alterna il macerato uso del tenore (un surreale Ayler) ed il sopranino. La rassegna si è chiusa domenica, serata aperta dalla presentazione del volume Un cielo di stelle. Parole e musica di Mario Schiano (edito dalla manifestolibri). Purtroppo assente il protagonista del testo (ancora convalescente dopo un intervento chirurgico), erano presenti l'autore della lunga intervista Pierpaolo Faggiano, Pino Saulo di RadioTre e Philippe Renaud, direttore della rivista francese Improjazz che ha di recente prodotto l'ultimo album di Schiano, Dear Peter..., dedicato a Peter Kowald. Alla presenza di un folto pubblico si è ricordato il ruolo svolto dal musicista nel jazz europeo, un guastatore in grado di catalizzare energie e musicisti, di progettare, organizzare e spiazzare, sempre alla ricerca senza mai dimenticare la propria meridionalità e lo straordinario legame tra culture alte e basse, tra avanspettacolo e avanguardia.
Dopo le parole, la musica di Mike Copper che ha costruito un percorso sonoro tra percussioni minimali, elettronica, canto e slide guitar, percorso che ha mostrato alcune debolezze e prolissità. Incendiario e vibrante, invece, l'incontro tra Sebi Tramontana e Paul Lovens. Sfruttando una vasta gamma di sordine, utilizzando parti del trombone, servendosi della voce, suonando anche con il corpo, Tramontana ha dialogato con un Lovens ispiratissimo, quasi fuso con la sua essenziale batteria continuamente arricchita da gong, piatti, bacchette di varia forma. Il percussionista genera suoni di una compiutezza e bellezza rara ma li monta e scompone con incessante maestria, facendoli respirare nel silenzio, sfruttando il pianissimo ed il fortissimo e, soprattutto, generandoli in stretta connessione con il trombone del partner. Peccato che non ci fosse Mario Schiano a sentirli perché sarebbe stato davvero felice per la loro sapiente e coraggiosa libertà espressiva.