MONDO

I danni collaterali della guerra di Bush

BARRUCCI TIZIANA,IRAQ/USA

«Una società libera è una società che ha la possibilità di costruire la sua conoscenza facendo fronte autonomamente alle sue responsabilità. Ma la cosiddetta guerra al terrorismo della Casa bianca sta distruggendo tale possibilità in tutti i paesi arabi». Non ha alcun dubbio Neder Fergani, ricercatore egiziano coordinatore dell'équipe che ha stilato il rapporto del programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp) sui paesi arabi. Un «pensatore indipendente» tiene a sottolineare, come tutti gli autori del documento che, seppur firmato con l'acronimo dell'organizzazione, non necessariamente - è la regola - esprime il pensiero Undp sulle questioni affrontate. «Dopo un lavoro di un anno siamo arrivati alla conclusione che in nome della lottacontro il nemico comune anche i timidi passi avanti compiuti in alcuni paesi del Mediterraneo verso la conquista di libertà politiche e sociali sono stati bloccati». I regimi hanno utilizzato questa situazione per dare una loro interpretazione della parola «terrorismo». Se in alcuni paesi si era avuta una timida presenza delle donne in parlamento, dopo l'11 settembre tale realtà è solo un ricordo.

Quale metodologia avete usato per arrivare a tali conclusioni?

Nel primo rapporto avevamo decisotre indicatori: crescita della conoscenza, modalità di governo, condizione della donna. Erano gli elementi da studiare per analizzare l'andamento delle società, ma non li abbiamo considerati nella loro interezza. Cosa che invece abbiamo fatto oggi. Da un lato abbiamo stilato un'analisi generale di quella che ci sembrava la condizione a grandi linee del mondo arabo, dall'altro abbiamo raccolto i rapporti dei singoli stati. A quel punto abbiamo messo a confronto i materiali e attraverso diversi gradi di selezione siamo giunti alle conclusioni.

Può fare qualche esempio delle situazioni studiate?

Innanzitutto bisogna dire che la nostra definizione di «conoscenza» non riguarda solo l'area scientifica. Essa tiene conto anche di ambiti diversi, come quello della produzione artistica o letteraria. Una delle situazioni più ricorrenti che ci siamo trovati ad analizzare è quella di un mondo estremamente vivo dal punto di vista della produzione, ma che non permette alla maggioranza della popolazione di accedervi: libri e libri che nessuno può leggere. Un'autrice giordana ha ottenuto un po' di tempo fa un premio, ma le sue opere sono state subito censurate. Lo stesso è avvenuto per una scrittrice egiziana.

Dove è il legame con la lotta al terrorismo?

Di fronte alle restrizioni di libertà politiche e civili commesse negli Stati uniti e in vari paesi europei in nome di tale guerra, i regimi arabi si sono sentiti autorizzati nelle loro manovre. E hanno ristretto le già strette maglie delle libertà.

Nel rapporto accennate a violazioni dei diritti umani nelle carceri; parlate di torture, ma non nominate mai i paesi in cui tali situazioni avvengono...

Il nostro intento era fornire un'immagine generale della situazione dei paesi arabi a due anni dall'11 settembre, senza tuttavia entrare nelle singole realtà. Certamente avevamo l'obbligo di parlare di Palestina e Iraq. Solo una Palestina libera dalle atrocità commesse dagli israeliani può veramente svilupparsi. Stessa cosa per Baghdad. L'occupazione anglo-americana deve terminare. L'Iraq deve poter costruire un governo che rappresenti la volontà degli iracheni. Solo così sarà possibile costruire una società che possa sviluppare conoscenza e quindi libertà.

Ma l'ultima risoluzione Onu...

Quella risoluzione è molto poco precisa. E' come se l'Onu non decida se avere un ruolo. Ma questo tema non è stato affrontato dal rapporto.

Cosa pensa del ruolo dell'Europa?

La Gran Bretagna è il capo della gang criminale europea. Ma noi giudichiamo negativamente anche i governi italiano e spagnolo, paesi considerati da sempre vicini alle nazioni arabe che oggi sostengono la guerra. E questo anche contro la volontà delle loro popolazioni. Bisogna ritornare al rispetto della democrazia. Democrazia significa rispetto della volontà popolare. Non si può affermare di voler portare democrazia in stati esterni all'Europa quando dentro ci si dimentica di farlo.

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