MONDO

La guerra abbatte i diritti

ONU
BARRUCCI TIZIANA,GIORDANIA/AMMAN

Che la cosiddetta guerra contro il terrorismo abbia avuto come suo principale risultato l'erosione delle libertà civili nei paesi del Nord ricco è cosa arcinota. Dovrebbe oggi far ulteriormente riflettere che tale guerra, lungi dall'assicurare «libertà duratura» ha ripercussioni ben diverse anche nei paesi arabi. Qui infatti, i pochi passi avanti compiuti negli ultimi anni per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani - dalla libertà d'espressione all'emancipazione della condizione femminile - hanno subito una ferma battuta d'arresto. Dopo l'11 settembre i regimi dell'aria hanno adottato misure di sicurezza «estreme» che andando anche oltre i loro scopi iniziali, hanno eroso libertà civili e politiche. A dirlo sono gli stessi artefici, qualche giorno fa, della nuova risoluzione irachena, vale a dire le Nazioni unite. Ieri ad Amman l'ex ministro della programmazione giordano, Rima Khalaf Hunaidi, ora coordinatrice del Programma Onu per lo sviluppo (Undp) nei paesi arabi, ha lanciato infatti il secondo rapporto dell'organizzazione sugli stati arabi. Per prima cosa il clima dettato dalla Casa Bianca dopo l'11 settembre ha ridotto drasticamente la possibilità per le popolazioni arabe di vivere e viaggiare fuori dai loro paesi, bloccando qualsiasi forma di collaborazione culturale: tra il 1999 al 2000, ad esempio, il numero di studenti arabi negli Stati uniti si è ridotto di un buon 30 per cento.

In secondo luogo gli affari interni. Le quasi 200 pagine di documento «di arabi sugli arabi», stilato cioè da 40 «intellettuali» e ricercatori arabi, spiegano che la guerra al terrorismo ha permesso ai regimi dell'area di adottare una definizione allargata di «terrorismo» aprendo la strada ai peggiori abusi: essa ha significato censura, restrizioni nell'accesso a Internet, nuove forme di detenzione. Così, ad esempio, se in alcuni paesi si era avuta una prima timida presenza delle donne in alcuni parlamenti oppure prime forme di elezioni politiche, queste situazioni ora sono un ricordo.

In tema di diritti, non si può non parlare dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi e degli ultimi eventi iracheni. «L'occupazione israeliana - si legge nel documento - ha inflitto terribili pene materiali e umane commettendo quello che un'organizzazione per i diritti umani di tutto rispetto - Human Rights Watch 2002 - ha chiamato "crimini di guerra"». Per questo «una pace giusta e un reale sviluppo non sarà realizzato fin quando il popolo palestinese non instaurerà un vero stato con piena sovranità e fino a quando la questione dei rifugiati non sarà risolta nel rispetto delle risoluzioni Onu». Stessa storia per l'Iraq visto che, come afferma la stessa Rima Khalaf Hunaidi, «gli sforzi per portare avanti riforme per lo sviluppo della regione devono essere prodotte all'interno di essa». E gli autori del rapporto non hanno dubbi: «una coalizione capitanata da Stati uniti e Gran Bretagna ha invaso e occupato l'Iraq - dicono - introducendo una nuova sfida che va vinta. E l'unico modo per vincerla è, per il popolo iracheno, riuscire a esercitare i diritti fondamentali in accordo con le leggi internazionali, liberarsi dall'occupazione e riappropriarsi delle sue ricchezze».

Capitolo a parte in conclusione la questione della religione islamica e della sua necessaria «depoliticizzazione». Secondo l'Undp «la religione islamica fornisce tutte le possibilità per uno sviluppo della conoscenza. Chiara testimonianza ne è la renaissance del mondo arabo». Ma «sopprimendo la vera azione politica molti movimenti hanno iniziato a lavorare in maniera sotterranea. Nell'assenza completa di regole quei movimenti hanno cominciato ad agire sul piano politico definendosi "islamici" e adottando interpretazioni estreme e violente di tale religione». Un ostacolo allo sviluppo dei diritti umani. Per ricostruire una società «forte» la religione, concludono gli autori, deve essere liberata da questo «sfruttamento» politico.

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