Un sequestratore in bolletta che, per mantenere i rapiti, chiede l'elemosina alle proprie vittime: questa è l'immagine che può efficacemente illustrare la «Conferenza dei donatori per l'Iraq» convocata per il 23 e 24 ottobre a Madrid. La Banca Mondiale e l'Onu hanno stimato in 36 miliardi di dollari, che vanno ad aggiungersi ai 19 contenuti in una stima separata fatta dagli Usa, il costo della «ricostruzione» dell'Iraq nei prossimi quattro anni. Costo che, in base alla Convenzione di Ginevra, dovrebbe essere sostenuto dalle «potenze occupanti».
In realtà si tratta di una stima minima, contenuta in un documento di oltre 80 pagine.
Bush ha richiesto al Congresso 87 miliardi di dollari, 66 dei quali andranno a coprire i quasi 4 miliardi al mese del costo di 150.000 militari sul terreno, mentre solo 20 saranno destinati ad usi «civili». Mancano all'appello almeno 36 miliardi che Powell tenterà di raccogliere girando con il cappello alla conferenza di Madrid.
Il petrolio, infatti, non sarà sufficiente per finanziare l'occupazione; almeno per ora. Gli impianti di estrazione, gravemente danneggiati da 13 anni di sanzioni, non riescono a pompare più di un milione di barili di petrolio al giorno, poco più del fabbisogno interno. Si stima che ci vorrà almeno un altro anno e mezzo prima che la produzione possa tornare ai livelli di prima della guerra.
Ma anche se non fosse così, il petrolio, poco o tanto, è in realtà già ipotecato.
I proventi sono attualmente versati, in base alla risoluzione 1483 del Consiglio di Sicurezza, su un conto (l'Iraq Development Fund - IDF) a disposizione degli Usa. Un decreto del governatore americano Bremer, del 20 luglio scorso, decideva che la Banca Commerciale irachena avrebbe potuto usare i fondi dell'IDF a garanzia dei crediti delle multinazionali Usa che hanno avuto in appalto la ricostruzione. Per inciso: dato che gli appalti sono stati concessi senza gara, sono le multinazionali stesse a fare i prezzi, e il petrolio iracheno sarà usato per pagarle ai costi da esse determinati. Se la ricostruzione venisse affidata a ditte irachene ci sarebbe un bel risparmio e i soldi resterebbero in casa.
Per rastrellare altri fondi, Kamel al-Kelani, il «ministro delle finanze» del governo «iracheno» nominato dagli Usa, non senza resistenze all'interno del «Governing Council», ha annunciato, il 21 settembre, la privatizzazione dell'apparato produttivo pubblico iracheno. A prezzi di saldo. Gli acquirenti esteri potranno infatti possedere il 100% della proprietà, esportare tutti i profitti e saranno soggetti a una bassa tassazione. Insomma, l'Iraq è in svendita, con l'aggravante che gli Usa stanno vendendo ciò che non è loro. Ma c'è di più. Dato che i crediti per questi investimenti verranno, con molta probabilità, dall'IDF, il risultato è che l'Iraq sarà derubato utilizzando i soldi degli iracheni!
La situazione a Madrid, comunque, per ora, non è incoraggiante per gli Usa. La Francia, la Germania e la Russia, pur avendo votato la risoluzione statunitense, hanno già detto che non solo non invieranno truppe ma non staccheranno nessun assegno in Spagna.
L'Unione europea ha annunciato che non offrirà più di 200 milioni di dollari e solo a condizione che vengano definiti i tempi del passaggio di potere a un governo iracheno legittimo. Non basterà a cambiare questa posizione la nebulosa risoluzione approvata anche perché la vera condizione è un'altra: la partecipazione delle imprese europee ai contratti sinora riservati alle sole imprese Usa.
Insomma, a Madrid non si raccoglieranno fondi per alleviare la situazione umanitaria, come ci diranno, ma per finanziare l'occupazione e l'invasione delle multinazionali che segue quella militare. Se gli Usa riusciranno nell'impresa, l'occupazione e l'invasione economica diventerà davvero multilaterale, a prescindere dalla risoluzione dell'Onu.
L'Italia ha iniziato a partecipare a questa colletta con 3000 soldati, al costo di quasi 40 milioni mensili. Il ministro Martino ne annuncia il proseguimento e promette fondi aggiuntivi non meglio specificati . Il centrosinistra si è già spaccato dopo la risoluzione Onu. D'Alema e Minniti hanno già messo l'elmetto affrettandosi a sostenere che viene meno l'illegittimità della presenza dei soldati italiani in Iraq. Come se il Consiglio di sicurezza potesse sanare una palese violazione del diritto internazionale.
Una coalizione internazionale di organizzazioni pacifiste riunite nell'Iraq Occupation Watch ha lanciato un appello ai Governi a non donare. Non si tratta di non intervenire nella crisi umanitaria irachena. L'appello chiede infatti che i governi diano i loro contributi attraverso un fondo separato a cui non abbiano accesso gli Usa, o finanziando direttamente i programmi delle Nazioni Unite e delle Ong.
L'Italia dovrebbe ritirare i soldati ed utilizzare i fondi per un intervento umanitario - reale, non propagandistico - direttamente rivolto alla popolazione irachena. Insomma, bisogna salvare le vittime e non finanziare il sequestratore.